venerdì 15 novembre 2019

NO STRANGE: "MUTTER DER ERDE" (Area Pirata, 2019).


I No Strange possono piacere o non piacere, ma restano una delle poche band "alternative" con carisma e argomenti.
L'unica, o quasi, che è sopravvissuta ai famigerati anni '80 muovendosi con eleganza e volo libero tra le pieghe della psichedelia più cosmica, ammantando testi misticheggianti e introspettivi di un caleidoscopio sonoro dalla rara potenza evocativa.
Questa formula alchemica si è concretizzata ai massimi livelli in 
"Mutter Der Erde" dove, attorno al duo storico formato da Alberto Ezzu e Salvatore "Ursus" D'Urso, si schierano ospiti perfettamente in linea con la direttrice musicale della band torinese: Gabriele Maggiorotto (basso) e Riccardo Salvini (batteria) degli Indianizers, Stefania Priotti (violino) e Simona Colonna (violoncello, flauto), e i due soprani Paola Scatena e Rita Tekeyan - l'armena che in "Kilikia" rende omaggio alle parole del poeta Komitas - a perlustrare profondità siderali con i loro vocalismi sinuosi.
Non è mai semplice definire l'arte dei No Strange perchè è mutevole come le stagioni, variano di intensità e colori nonostante seguano uno "schema" ormai acclarato.
Ed è perfetto così!
Mano libera dunque all'esoterismo bucolico, alla musica antica, al Prog, al Kraut Rock in odor di Corrieri Cosmici, ai momenti meditativi alla Dead Can Dance, all'elegia che celebra Gaia e i suoi riti ancestrali, in un melange di equilibri sottili e talmente ben architettati che"Mutter Der Ende" si trasforma in ascolto virale. 
Il succo della magia dei No Strange sta proprio qua: saper narrare storie "bislacche"senza annoiare mai!
Bravi loro a "dedicare" questo album (il 5° dalla reunion del 2011) a Jutta Nienhaus - cantante degli Analogy e collaboratrice di pregio mancata poco prima di questa ultima produzione - e bravi i kids di Area Pirata/Psych Out per la bella stampa limitata in vinile pesante, con flipback cover, e coupon per il download.



Ascolta anche: "Voyage Dans La Lune", "Un Viandante Tra le Stelle".





Davide Monteverdi.


giovedì 26 settembre 2019

Maurizio Curadi: "Phonorama" (Area Pirata, 2019)


Al di là delle definizioni, dei limiti estetici, con cui si cerca sempre di circoscrivere un lavoro discografico "strano", "Phonorama" di Maurizio Curadi (Steeplejack) si impone all'ascolto come un "oggetto non identificato" di estremo fascino mesmerico.
Che naviga in acque più pacate che burrascose, cui il termine "sperimentale" sta strettissimo e fuori fuoco rispetto alle 6 plastiche composizioni che ne strutturano la tracklist (in realtà 9 con le bonus track, per una lunghezza che sfonda in totale l'ora di performance).
Maurizio, qui, non fa altro che accomodarsi sullo sgabello e trasformare le sue chitarre nelle protagoniste assolute di un viaggio onirico, dove psichedelia, musica progressiva, elaborazione dei suoni e assetti circolari figli bastardi del kraut teutonico, si fondono in un soffio caldo e mellifluo che accarezza e affranca da ogni inibizione.
Potremmo banalmente infilare "Phonorama" nella casella "chillout" o "ambient, se non fosse per quella attitudine dell'artista a scansare ogni responsabilità contestuale, esplorando territori musicali - seppur non innovativi - al netto di noia e ridondanze.
Tutto sommato "Phonorama" mi è piaciuto parecchio: parliamo di un album che non vorrebbe essere per tutti, ma paradossalmente lo diventa, stemperando il vocabolario concettuale con grande qualità interpretativa.


Ascolta: "Cicadas", "Hidalgo".





Davide Monteverdi


martedì 24 settembre 2019

Chastity Belt: "Chastity Belt" (Hardly Art, 2019)


Questo è il giorno ideale, almeno dalla mia finestra, per ascoltare il nuovo album delle Chastity Belt: cielo plumbeo, pioggia fine e incessante, temperatura in calo drastico, e quell'aria indecisa che ogni lunedì assume quando l'estate scivola nell'autunno senza un minimo preavviso.
Eppure in questo omonimo, quarto, album c'è una scintilla a bilanciare le composizioni intimiste e venate di nostalgia postadolescenziale. Una sorta di bagliore al neon che allo stesso tempo ipnotizza e illumina fiocamente una strada priva di pericoli alla vista, rassicurante e stimolante nella sua progressione, proprio come le 10 tracce composte, suonate, e cantate dal quartetto (adottivo) di Seattle. 
Julia Shapiro è bravissima a ricreare l'empatia da ostello con le altre componenti della band, a delineare uno spazio aperto e libero dove le confidenze anche scomode scaturiscono senza forzature, dove le voci incrociano gli strumenti senza mai una sbavatura.
"Chastity Belt" è infatti costellato di ormoni e sentimenti, consapevolezza e buoni auspici, s'intuisce perfettamente come il passato sia un necessario bagaglio esperienziale che non tornerà più, nel bene e nel male.
E a testimonianza di questa (sofferta ma imprescindibile) evoluzione esistenziale, anche la forma canzone si spiega con raffinatezza e maturità inaspettate: ecco allora i violini comparire per la prima volta facendo il paio con i synth, poi una maggiore fluidità tra liriche e musiche, e infine la sinergia matematica tra le ragazze quando si smazzano le diverse parti vocali. A dimostrazione di un feeling ritrovato al volo dopo un breve stand by, e conseguenti progetti individuali, nel recente passato.
Due anni di attesa dal precedente "I Used To Spend So Much Time Alone", evidentemente spesi molto bene, ed eccoci qua con una nuova raccolta di canzoni struggenti eppure a loro modo sbarazzine.
Con le chitarre di Julia Shapiro e Lydia Lund a sprizzare quintali di melodie irresistibili e flasback continui e indecisi tra neopsichedelia, new wave, e shoegaze. Con il basso imperioso di Annie Truscott e la batteria metronomica di Gretchen Grimm a puntellare l'intera tracklist, secondo dopo secondo.
"Chastity Belt" è stata davvero una sorpresa inaspettata e gentile: generosa nel dispensare momenti chiaroscurali quanto nel lenire il fallout di certi giorni bigi, dominati dai massimi sistemi e dalle loro conseguenze.
On repeat, dolcezza, on repeat!



Ascolta: "Effort", "Apart", "Split"


Hardly Art


Davide Monteverdi




mercoledì 28 agosto 2019

Minor Poet: "The Good News" (Sub Pop, 2019).


"The Good News" è l'album principe dell'estate 2019: solare, scintillante, sprizza sorrisi ed energia contagiosa un minuto dietro l'altro, con quel retrogusto vagamente malinconico, da fine campeggio, che ne aumenta a dismisura il tasso empatico.
L'esordio del progetto Minor Poet su Sub Pop, secondo lavoro dopo "And How!" del 2017,  è (quasi) completamente a carico del solo Andrew Carter, deus ex machina dietro ad ogni composizione: lui scrive i testi agrodolci che incrociano esperienze personali a tematiche più ampie, suona tutti gli strumenti, produce con grande raffinatezza in compagnia di Adrian Olsen (Foxygen), canta e interpreta con versatilità canaglia che mira dritta al cuore dell'ascoltatore, in ultimo coagula attorno a sè una tour band altrettanto camaleontica con cui calca i palchi in giro per gli States spaccando tutto.
"The Good News" si rivela (dopo ascolti ripetuti e indolenti) un raffinato contenitore di parole ed emozioni, condensate in 22 minuti di orizzonti musicali senza fine, dove il termine "Pop" descrive alla perfezione il percorso virtuoso del folletto di Richmond: trasportare il passato glorioso nel presente globalizzato per renderlo futuro accessibile. Riuscendoci in soli 4 giorni di studio!
E come la chiamereste voi tutta 'sta roba se non "Talento"?
Applausi a scena aperta Andrew, davvero, Brian Wilson e Phil Spector saranno fieri di te, nipote sonico adottivo!



Ascolta: Bit Your Tongue/All Alone Now, Nude Descending Staircase.




Davide Monteverdi


sabato 27 luglio 2019

N.I.A. Punx 1989 - 2019 (Area Pirata Cd Digipack, 2019).


Finalmente una raccolta come dio comanda per raccontare la storia di una band seminale e, forse, troppo sottovalutata che giungeva dalla vera periferia globale: i N.I.A. Punx da Cosenza.
Come al solito ci pensa Area Pirata ad imbastire tutta l'operazione racchiusa in questo epico e bellissimo cd digipack saturo di musica, di storia, di sudore, di emozioni, di palchi e ricordi indelebili per chi c'era e soprattutto per chi è arrivato (anagraficamente) tardi.
Sono 23 le tracce tratte da tutto lo scibile (o quasi) del combo e sono lì a testimoniare fattivamente i cambiamenti, sia di line up che di stile sonoro, durante il periodo che va dal 1989 (fondazione) ai primi anni 2000 (fine vera e propria dell'attività concertistica): dal primo demo ancora acerbo, ma carico di furia positiva, "The Last Crime Of Amerika" (che contiene una rilettura di "No Eroina" dei Bloody Riot), sfiorando l'unico album nel loro score "Scendere A Sud", tutte le partecipazioni a prestigiose raccolte punk/hardcore varie, per chiudere con una manciata di inediti tra cui 2 cover riuscite di Iron Cross ("Crucified") e Blitz ("Warriors").
Insomma un riepilogo esaustivo dell'intera vita dei N.I.A Punx, immortalata in modo definitivo e inappellabile dalla splendida foto di copertina.
Giustizia è stata resa alla band ideata da Giammarco De Vincenzo, Massimiliano Muoio, Vincenzo Cribari, davvero dei Nerds In Acid, tra skate punk, oi, hardcore, crossover (pure linguistico) e tutto quello che passava il convento in quegli anni magici.
Maledetta nostalgia canaglia!




Ascolta: "In Ginocchio Mai", "Sometimes", "Power Punk".



Davide Monteverdi.


martedì 9 luglio 2019

VERSING: "10000" (Hardly Art, 2019)


"10000" è il nuovo, secondo, lavoro di studio per il quartetto di Seattle guidato dal carismatico cantante e chitarrista Daniel Salas, che con le sue 13 tracce ci conduce per mano in un passato recente e glorioso. Quegli anni 90 che hanno marchiato a fuoco almeno un paio di generazioni turbolente di teenagers, in un saliscendi schizofrenico tra melodie e rumore, ordine e caos, autodistruzione e catarsi.
Tutti i riferimenti sonori di questo album prendono ossigeno, di fatto, dall'epopea alternative rock di quel decennio, rimodulati però secondo un linguaggio corrente (seppur rispettoso delle tradizioni) declinabile con la sensibilità delle nuove generazioni di ascoltatori.
Le tracce di "10000" scorrono bene dall'inizio alla fine, abbandonando nelle sinapsi schegge elettriche di Pavement, Dinosaur Jr, Sonic Youth e tutta quella roba lì college rock a stelle e strisce, con in più una strizzatina d'occhio alla coeva scena shoegaze psichedelica inglese.
Insomma nulla di nuovo sotto il sole dell'indie sound (tantomeno dalla rigogliosa Seattle), ma "10000" è un album che si fa ascoltare con rinnovata curiosità: di sicuro non impatterà sul corso della storia, ma può ambire a guadagnarsi lo status di gioiellino incompreso all'interno della scena.


Ascolta: "Entryism", "Tethered", "By Design", "In Mind", "Sated".



Davide Monteverdi.


mercoledì 3 luglio 2019

Area Pirata Summer Pack 2019


Quarant'anni fa i Mads si facevano strada nella nebbia di Milano per portare il verbo Mod su e giù per l'Italia. Le atmosfere erano rarefatte, i momenti spesso drammatici e il grigio piombo avvolgeva ogni cosa come un sudario di cemento.
Da allora ne sono passate di situazioni e vicissitudini per la band, ma i kids meneghini sono ancora qui. Oggi. A pestare duro. Con un'altra robusta iniezione di sole, di vita, di attitudine a tutti livelli, sotto forma di 7"/Cds che contiene un paio di numeri davvero niente male. "Turn Me Up" (sul cds c'è anche una versione strumentale), che dà anche il nome a questa lacca rosso fuoco, è il nuovo regalino per questi giorni incandescenti e ci trasporta su isole lontane, a piedi nudi nella sabbia, con il Panama ben calcato sulla zucca. Mentre la cover di "Strange Town" dei Jam ci lavora agilmente sotto la cintura, ribadendo ancora una volta quanto i Mads siano un tesoro nazionale altamente esportabile.





Ci sono voluti anni per avere tra le mani questo nuovo lavoro dei Los Infartos.
"El Narco Ritmo" esce infatti in formato 10" a ben 36 mesi dal singolo precedente, con quattro bombe a carico di notevole impatto ("Karrrate Bilbao" hit dell'estate a furor di popolo), nel caso fosse necessario ribadire come gli attributi del quartetto di base a Teramo siano ormai giunti a sviluppo (quasi) completo. A 'sto giro Los Infartos centrano ancor meglio la mira, buttando sul tavolo un impasto cattivello a base di Freak Punk, Garage Beat e Soul Psichedelico sporcato di Hammond e  saturo delle peggiori intenzioni: insomma una ventata energica e postatomica buona per qualsiasi suburbia arrogante.
Adesso attendiamo il prossimo step, vale a dire la riconferma dei valori in campo nel classico formato Lp.






Davide Monteverdi.


lunedì 3 giugno 2019

Tony Borlotti E I Suoi Flauers: "Belinda Contro I Mangiadischi".


Quando sta per scoppiare l'estate italiana bisogna farsi trovare pronti.
Un buon taglio di capelli ad esempio, un abito ben stirato e profumato, Vespa o Lambretta di ordinanza tra le cosce e via per il mondo luccicante, appetitoso, e pronto a ricevere tutto l'Amore di cui siamo capaci.
Aggiungete pure ampie libagioni, tramonti in formato cartolina, qualche vaga reminescenza di un'epoca meravigliosa, e (probabilmente) irripetibile, e otterrete la sintesi perfetta delle 12 canzoni che compongono "Belinda Contro I Mangiadischi".
L'ultima fatica discografica di Tony Borlotti E I Suoi Flauers che non si smentiscono mai, sprizzando gioia, stile, divertimento e ironia in un momento storico dove il "sole" stenta a splendere e i Sixties paiono lontani una galassia intera.
E quando il grigio imperversa cosa ci può davvero salvare se non una robusta intramuscolare di Musica Beat per "giovani scapestrati"?
Il combo di Salerno svolge questa missione in maniera eccelsa, riuscendo nell'impresa di trasportare l'irruenza sbarazzina dei suoi live nell'algido supporto fisico, smazzato as usual da quei tipacci di Area Pirata.
"Belinda Contro I Mangiadischi" fa volare tutto ed è il miglior modo di festeggiare i (quasi) 25 anni di attività per Tony Borlotti E I Suoi Flauers: gentiluomini dall'attitudine deliziosa e di ineccepibile perizia musicale.
Chiamatela come vi pare (per cortesia no vintage e no retrò), ma per me è solo musica squisita sotto il cielo blu.



Ascolta: Un Tempo Per Noi, Sono Nei Guai, Belinda Contro I Mangiadischi, La Giostra, Programma Beat.




Davide Monteverdi


giovedì 30 maggio 2019

The Gotobeds: "Debt Begins At 30" (Sub Pop, 2019).


Finalmente ci siamo.
Esce tra poche ore "Debt Begins At 30" il terzo album dei Gotobeds, il secondo licenziato dalla Sub Pop di Seattle per essere precisi.
Il quartetto (fieramente) di Pittsburgh, guidato dal cantante/chitarrista Eli Kasan, in questo nuovo lavoro di studio disegna 11 tracce poderose e ben strutturate, dove le istanze post punk incrociano la crema delle sonorità alternative rock di almeno due decenni
Ognuna di esse poi nasce e si sviluppa come collaborazione "naturale" e inclusiva con alcuni dei nomi più interessanti di quel panorama musicale, pescando sia dal presente che dal passato: da Bob Weston (Shellac/Mission Of Burma) a Victoria Ruiz (Downtown Boys), passando per Bob Nastanovich (Pavement) fino all'accoppiata Joe Casey/Greg Ahee (Protomartyr), solo per nominare quelli maggiormente conosciuti e condivisi.
Insomma "Debt Begins At 30" si dimostra un progetto ben ponderato, strutturato perchè il risultato finale sia vincente sotto tutti i punti di vista e dove la sommatoria supera magicamente l'insieme dei singoli addendi.
I Gotobeds, infatti, hanno l'innata capacità di pompare atmosfera nelle loro composizioni, sfruttando il valore aggiunto dei guest senza esserne cannibalizzati, grazie al mix intelligente del vocabolario espressivo dei primi e di una propria personalità creativa giunta a maturazione.
I Gotobeds sono e suonano così.
Con grande libertà, leggerezza e raggio d'azione pressochè illimitato: saltano da un genere all'altro con disinvoltura alternando passaggi urticanti a melodie senza tempo.
Bravi!



Ascolta: Slang Words, Poor People Are Revolting, Debt Begins At 30, Dross, Bleached Midnight.





Davide Monteverdi

giovedì 16 maggio 2019

The Backdoor Society: "The Backdoor Society" (Area Pirata, 2019).


L'album d'esordio dei Backdoor Society è una vera e propria bomba a mano.
Oltre ad essere la diretta dimostrazione che anche la "periferia dell'Impero", nel 2019, può dare vita a musica bellissima, e senza compromessi, con uno sguardo preferenziale per i sixties più selvaggi e genuini.
In questo caso il punto di partenza è il garage psichedelico di scuola olandese/nordeuropea, Q65 e Outsiders in primis, per poi stemperarsi in ritmiche calde e avvolgenti che strizzano l'occhio alla scuola rock/R&B anglosassone di Stones e Pretty Things.
Ed è così che da Piacenza, via Pisa tramite Area Pirata, arrivano questi 12 gioiellini sonici senza tempo, di una freschezza imbarazzante, capaci di far muovere il culo di brutto (come da tempo non ricordavo per altri lavori) grazie all'interpretazione superlativa del quartetto.
Precisa, ficcante, sensuale e totalmente priva di inibizioni.


Ascolta: Pitch Me Out, Lost, Go On Home, Please Don't Worry, Better Than Me.




Davide Monteverdi

domenica 12 maggio 2019

The Trip Takers: "Don't Back Out Now" (Area Pirata, 2019).



Mai come negli ultimi anni l'Italia è stata così prodiga di figliuoli bravi a destreggiarsi nei revivalismi garage/neo psichedelici, sfoggiando una manciata di band ad alta caratura attitudinale e, soprattutto, musicale.
Band come i Trip Takers, ad esempio, che fanno dell'ortodossia sbarazzina e frizzante il loro manifesto estetico.
Confezionando le 10 track di questo album d'esordio, "Don't Back Out Now", in una vellutata macchina del tempo dalle ampie dotazioni analogiche, per dare un taglio retrò/vintage dalla grana raffinata e (volutamente) calligrafica all'intero progetto.
Così che ogni canzone racchiude in sè una piccola istantanea caleidoscopica: scorci di Saville Row e Haight Ashbury che flirtano amabilmente senza mai litigare, tra fiori e visioni, passioni e bagliori cosmici.
Questa è la magia che i Trip Takers ricamano e personalizzano brano dopo brano, lasciando mano libera alla verve psichedelica di viaggiare da un continente all'altro senza pesanti orpelli.
"Don't Back Out Now" si ascolta e si ama dal primo istante, perchè è la colonna sonora perfetta per questa Primavera turbolenta e viziosa.
Ovviamente applausi anche ad Area Pirata, la cui documentazione minuziosa di certe pieghe spaziotemporali ci affranca da ignoranza e grigiore.



Ascolta: Let Me Sail, Don't Back Out Now, Gambin' Gal, Misty Shore.




Davide Monteverdi

sabato 27 aprile 2019

The Rock 'N' Roll Kamikazes: "Campari & Toothpaste" (Area Pirata, 2019).


Non c'è verso di star fermi o di occuparsi delle cose di casa con i Rock 'N' Roll Kamikazes.
Metti il cd nel lettore, alzi il volume del mixer e dalle casse esplode la quintessenza dell'euforia, del think positive, del cazzeggio, mentre l'ambiente circostante si trasforma, nell'immediato, in un episodio di Happy Days in anfetamina, con le suole che scottano e il sudore che scivola malizioso lungo la spina dorsale.
Le 13 tracce di questo "Campari & Toothpaste" rappresentano l'ennesimo mattone che Andy McFarlane (Hormonauts) e soci piazzano nel muro del Rock And Roll più carnale e viscerale: virano le tradizioni 50's e Rockabilly in sonorità magmatiche che profumano di swamp blues e psychobilly, viziati però da attimi di lucida follia, balli sguaiati e, probabilmente, consumi eccessivi del suddetto Campari.
Che dire, bravo il quartetto romagnolo anche a consegnarci questo 4° album curato in ogni minimo particolare, artwork compreso. E, a proposito, tanti auguri a voi per il decennale di carriera alle porte.
Menzione speciale per la geniale cover "No No No (You Don't Love Me) strappata all'originale di Dawn Penn.



Ascolta: Your Monkey, You Might Not Known Me, Lordy Lord (My Ass), Smack.





Davide Monteverdi


venerdì 26 aprile 2019

The Kaams: "Kick It" (Area Pirata, 2019)



Terzo album per il power trio di Bergamo, al 10° anno di attività, che ritorna sulle scene dopo un periodo piuttosto travagliato tra cambi di formazione repentini e momenti compositivi di non facile soluzione.
Le 12, bellissime, tracce del nuovo album sono invece cariche di consapevolezza Garage/Power Pop tanto quanto sono (felicemente) perse tra i fumi lisergici della Neopsichedelia italica, in flirt perenne con la California dei 60's ma al netto del jet lag. Ed ecco che "Kick It" già al secondo ascolto diventa virale, invitando incessantemente a danze sfrenate e conseguente pubblico ludibrio.
Ma noi siamo nati per questo mondo e tanto ci basta: essere in amore per almeno una trentina di minuti stropicciati.
Applausi a scena aperta per Andrea, Marco e Tiziano.



Ascolta: Walk Out The Door, Out Of The Blue, Cold In My Bones, Follow The Sun.




Davide Monteverdi


giovedì 14 marzo 2019

Roberto Tax Farano & Paolo Spaccamonti: "Young Till I Die" (Escape From Today/Dunque, 2019).


Il 6 marzo 2019 è uscito "Young Till I Die" pregevole 10" in vinile blu, limitato a 500 copie, e firmato a quattro mani dal leggendario Roberto Tax Farano e Paolo Spaccamonti.
Il 6 Marzo 2019 il leggendario Marco Mathieu, non solo apprezzato musicista ma anche giornalista e scrittore dotato e curioso, ha compiuto 55 anni e dal luglio 2017 è immobile a letto in coma vegetativo dopo un incidente stradale.
"Young Till I Die" è in tutto e per tutto dedicato a lui e alla famiglia, oltre ad essere un lodevole tentativo di finanziare parte delle ingenti spese mediche per il suo mantenimento.
Roberto e Marco (per chi non lo sapesse...ma chi appunto???!!) erano rispettivamente chitarra e basso dei Negazione di Torino, band pilastro del cosiddetto Italian Hardcore nel mondo; il resto è mitologia scritta, tramandata e riletta centinaia di volte.
L' Ep si snoda in 2 sontuose suite strumentali dal sapore immaginifico, cinematico e ambientale (in verità più nei territori di confine abituali per la chitarra obliqua di Spaccamonti) coprendo una durata totale di 12 minuti e qualcosa: "Lo Spirito Continua" è una rilettura "esoterica" e malinconica del celeberrimo brano (composto proprio da Tax e Mathieu) che chiude l'album d'esordio dei Negazione, anno di grazia 1986, a cui dà il titolo. "Young Till I Die" è, invece, un inno alla magnificenza della vita (citazione voluta dell'omonima canzone manifesto dei 7 Seconds?) tra drones e crescendo chitarristici, che ci chiama alla ribellione contro il fato avverso, così come alla celebrazione di ogni soffio esistenziale, dono imprescindibile da godere fino all'ultimo.
La bellissima cover serigrafata è stata disegnata da DeeMo aka Dumbo, la produzione delle tracce è stata curata da Ezra al Nomad Studio di Torino.
Che dire infine?
Grazie di tutto Marco questo è davvero per te.
Ti pensiamo dal più profondo del cuore, anche se avremmo preferito un altro esito per questa Musica meravigliosa.



"Questo disco è per Marco, queste note una carezza, questo feedback un abbraccio.
Queste chitarre suonano per lui, unite dall'amicizia istintiva e vera, che sembra di sentire sullo sfondo la sua risata, indelebile dentro di noi, come le sue parole dentro i testi dei Negazione, tatuate nel cuore e nell'anima, per sempre."


""Young till I die" lo incidevamo sulle medagliette stile Vietnam che condividevamo con i ragazzi del mucchio, 30 anni fa.
Oggi è il nome di un disco dedicato a Marco in cui suoniamo perchè… lo spirito continua…
Il disco esce il 6 Marzo, giorno del compleanno di Marco: è il nostro regalo,
Oggi come allora, "Young till I die" è un inno alla vita, per affrontare la gioia e il dolore…con la stessa attitudine.

il nostro abbraccio, con il linguaggio che conosciamo: la musica."


Lo spirito continua.... 

...continua...lo spirito... 
dietro lamenti melodiosi 
risuona la voce di un vecchio 
a raccontare il senso di una vita 
collezione di attimi 
per le sensazioni piu` belle 
ma lo spirito continua! 
Leggo di me negli occhi di gente sconosciuta 
leggo di me in loro

Ma il ricordo puo` uccidere il bisogno... 

...non ho paura di quel rumore 
c'e` un lampo nei tuoi occhi 
che non potro` mai spiegarti 
mentre ti alzi e te ne vai 
guardo verso una parola lontana... 
...Il gioco di immagini e` riuscito 
esplode una risata sensuale... 
Io sorrido sopra il mio odio 
scoprendomi dentro un amore spesso negato 
scopro te nel mio corpo 
non voglio ucciderti 
Devi solo imparare a conoscermi 
io faro` lo stesso 
e forse allora anche la ferita 
fara` meno male 
lo spirito continua 
potremo davvero essere vecchi e forti.





Il vinile lo trovate qua: Negazione Bandcamp




Davide Monteverdi.

giovedì 28 febbraio 2019

ORVILLE PECK: "PONY" (SUB POP, 2019).


Esce il 22 Marzo l'esordio di Orville Peck per la sempre più eterodossa Sub Pop di Seattle.
Anche "Pony" infatti rientra nell'operazione (intelligente) della label di incontrare nuovo pubblico e potenziali acquirenti, accaparrandosi le "New Sensations" dell'universo "Alternative" al netto di preclusioni mentali, limiti espressivi e clichè sonori. Strategia che si è rilevata negli anni assolutamente vincente, nonchè caposaldo fondamentale della sua resurrezione post Grunge.
Non si sottrae a questo percorso virtuoso nemmeno il crooner mascherato specializzato nella narrazione di amori spezzati, vendette cariche di ebbrezza, corse nel deserto e risse in bar malfamati che ti si attaccano alla pelle e ti infettano il sangue.
Complice un blend sonico/visivo incredibilmente vario che incorpora le tradizioni country a stelle e strisce e l'immagine uber cool, e vincente, del cowboy 3.0, l'attitude shoegaze e le ballate amniotiche che sembrano uscite dagli script alieni de "La Guerra Dei Mondi" o di "Cowboys & Aliens".
Orville fa di tutto, e di più, nelle 12 tracce che riempiono "Pony" nel vero senso della parola: si sposta dalle Badlands del Nord America al polveroso confine Tex Mex attraversando i Canyon, con in testa l'idea meravigliosa di creare un Golem innamorato tanto di Elvis, Johnny Cash, Chris Isaak  e Twin Peaks quanto di mezza 4AD, J&MC, Soft Cell e Feelies, così per dire, sfiorando a tratti il grottesco e caricaturale senza mai cadere, però, nel tranello dell'autoreferenzialità spinta.
Il Cavaliere Misterioso è il James Crumley della situazione.
Solo che al posto di pistole, coca e whisky a fiumi, preferisce alternare silenzi atmosferici alla steel guitar, tamburi inquieti a tastiere e banjo,  lasciando che siano loro ad argomentare la quotidianità corrotta.
Insomma "Pony" è così, vagamente citazionista ed altamente erotico.
Prendere o lasciare.
Arriva indenne fino a "Nothing Fades Like The Light", epitaffio perfetto, poi ne riparliamo!









Davide Monteverdi


domenica 3 febbraio 2019

J Mascis: "Elastic Days" (Sub Pop, 2018).


Il nuovo album di J Mascis funziona esattamente come "quel" maglione di cashmere che ci si tramanda in famiglia.
Di padre in figlio, da fratello a fratello, da indossare nelle occasioni speciali, magari a Natale, oppure quando fa freddo, ma freddo davvero e non solo fuori.
Almeno, per me è stato così con "Elastic Days": un pigro on repeat sul lettore cd per settimane, proprio nel periodo dell'anno dove vincono i bilanci, le classifiche, e le pagine van voltate di forza senza appello alcuno.
Si snocciola con compostezza il 3° lavoro del leader dei Dinosaur Jr in versione solista, seppur accompagnato da vari ospiti tra cui spiccano Mark Mulcahy (Miracle Legion), Pall Jenkins (Black Heart Procession) e Zoe Randell (Luluc), carico com'è di emotività e chitarre, di salite e discese, di abbracci e abbandoni, di sussuri acustici e sbroccate soniche.
E J è dannatamente bravo ad orchestrare il tutto, nel vero senso della parola.
A fornire equilibrio e ordine ai moti dello spirito, alle chiacchiere sulla magia perversa della quotidianità e dei rapporti umani.
"Elastic Days" trova anche una soluzione armonica in se stesso: non c'è chiaroscuro nel suo incedere riflessivo, ma sano intimismo dialettico ricamato (a tratti) dalla Jazzmaster del folletto di Amherst.
Fatemelo dire, questo è proprio un bell'album da ascoltare dal primo all'ultimo suono: d'altronde quegli accordi lì, quella voce lì, possono permettersi qualsiasi cosa senza rischiare più di tanto.
Siamo insomma al nuovo capitolo della "Storia Del Folk Secondo J Mascis", sempre più "Americana" secondo il Vangelo di Neil Young. 
Scritta, vissuta, e suonata con un'intensità che difficilmente trova paragoni nel panorama musicale attuale.
Le 12 canzoni di "Elastic Days" scivolano via indolenti in un crescendo che, dopo la doppietta "I Went Dust" e "Sky Is All We Had", trova la perfetta quadratura nella sua seconda metà. 
"Give It Off", "Cut Stranger", "Sometimes" ed "Everything She Said" sono, infatti, episodi che brillano di luce aliena capace di trasportarti dove tutto sembra possibile, persino l'Amore nei giorni grigio ferro!








Davide Monteverdi

sabato 5 gennaio 2019

ECCO LA PLAYLIST DEL 2018!


Non è una classifica, nè vuole esserla.
Trattasi di semplice musica bella ascoltata/amata/acquistata durante il 2018 senza soluzione di continuità.
Incasellata, ma non schiava, anche grazie alla ricerca personale e agli spunti di millemila amici e playlist nate proprio come questa.


1) ROLLING BLACKOUTS C.F. "Hope Downs" (Sub Pop)

2) LAY LLAMAS "Thuban" (Rocket Recordings)

3) NU GUINEA "Nuova Napoli" (NG)

4) NIN "Bad Witch" (Null Corporation)

5) ART BRUT "Wham! Bang! Pow! Let's Rock Out" (Alcopop)

6) CALIBRO 35 "Decade" (Record Kicks)

7) LA LUZ "Floating Features" (Hardly Art)

8) NICOLA CONTE & SPIRITUAL GALAXY "Let Your Light Shine On" (MPS Records)

9) HOT SNAKES "Jericho Sirens" (Sub Pop)

10) THE LIMINANAS "Shadow People" (Because Music)

11) IDLES "Joy" (Partisan)

12) TASH SULTANA "Flow State" (Lonely Lands)

13) OH SEES "Smote Reverser" (Castle Face)

14) FANTASTIC NEGRITO "Please Don't Be Dead" (Cooking Vinyl)

15) IDIOTA CIVILIZZATO "Idiota Civilizzato" (Static Shock)



Davide Monteverdi



venerdì 4 gennaio 2019

Green River: "Dry As A Bone" + "Rehab Doll" (Sub Pop 2019 Deluxe Editions, Cd)



Si può dire che tutto sia iniziato da qui, da quel lontano 1984.
Un gruppo di amici senza particolari abilità creative e compositive che inconsapevolmente, insieme, cambieranno le rotte della nuova musica alternativa mondiale.
Questo erano in realtà i Green River: punk hardcore a tempo (quasi) scaduto e grunge in fasce, con quella miscela zozza e slabbrata di melodia e rumore, ballate lunari e chitarre anarchiche, Black Sabbath e Black Flag, che verrà subito dopo canonizzata con successo planetario da Nirvana e Soundgarden.
La Sub Pop, con l'ennesimo colpo di genio, ristampa all'inizio di questo 2019 l'intera "discografia"della band capostipite del Seattle Sound con la supervisione del producer originale Jack Endino e in versioni dopate e deluxe, sia in cd che in vinile dopo moltissimi anni: l'Ep "Dry As A Bone" del 1987 e l'album "Rehab Doll" del 1988, usciti accorpati in un cd unico 3 decenni fa circa e oggi presentati con gustosissimi extra a corredo, tra cui una versione "Loser Edition" su prenotazione e limitata in doppio vinile colorato (oltre a quella in normale doppio vinile nero) per ciascuna uscita.
Davvero un'operazione curata nei minimi particolari tecnici e filologici e, forse, necessaria per ribadire alle nuove generazioni (sempre che gli interessi qualcosa di buono) e ai nostalgici completisti quelli che furono i prodromi di una stagione musicale gloriosa, ovvero l'esplosione del Grunge su scala mondiale.
I Green River senza saperlo furono il primo supergruppo di Seattle, capitanato da tali Mark Arm, Stone Gossard e Jeff Ament che si divisero l'intera scena con alterne fortune nei Mudhoney, Mother Love Bone, Temple Of The Dog e Pearl Jam.
Si sciolsero nel 1988 (freschi di "Rehab Doll" appena licenziato) per le solite, banali, divergenze artistiche: Ament e Gossard alla ricerca della fama imperitura ed economicamente vantaggiosa da una parte, Mark Arm dall'altra con la sua proverbiale ostilità ai diktat del mercato e dell'hype.
Perchè ad essere sinceri accesero sì la miccia del futuro prossimo venturo, ma vendettero pochissimo nell'immediato e le profonde frustrazioni ebbero il sopravvento su tutto e tutti.
Il resto è storia contemporanea, un pò usurata dai tempi, ma che mantiene un fascino discreto  difficilmente riscontrabile negli attuali fenomeni sociomusicali.
Ai Green River dobbiamo anche la diffusione del termine Grunge utilizzato all'epoca dal boss della Sub Pop, Bruce Pavitt, per la promozione di "Dry As A Bone" sul territorio statunitense.
Dunque cosa aggiungere ancora su questa fantastica doppietta foderata di rare e gustose chicche, tra mix aggiornati, demo, featuring da compilation introvabili, cui va tutto il mio amore e la mia malinconia? Che trattasi di opera imprescindibile da acquistare e sparare a volume 10 sullo stereo di casa? Che Seattle non è mai stata così vicina? Che la Sub Pop spacca? Io me la sfango con una leggera predilezione per le atmosfere più rauche ed acerbe di "Dry As A Bone" rispetto all'evoluzione allucinata del pacchetto "Rehab Doll", "Swallow My Pride" compresa.
Io per una volta c'ero o quasi e questo già mi sollazza, al di là di gusti e visioni del tutto personali.

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Davide Monteverdi.