Sono giorni che ascolto solo "Lost In Time", il terzo album di Black Snake Moan, al secolo Marco Contestabile, essenzialmente bassista ma in realtà polistrumentista, cantante, compositore e anima dell'intera raccolta di canzoni qua contenute. Un esempio superlativo questo "Lost In Time" - nomen omen- di come sia ancora possibile in Italia creare dei piccoli capolavori di musica sognante. Fieri di essere ai margini, fieri di essere alternativi, e soprattutto capaci di solleticare e sconvolgere la parte in ombra del cuore di noi ascoltatori piuttosto scafati della vita. Perdersi nel tempo e nello spazio è il sogno millenario dei viaggiatori, stanchi di un mondo sfocato che fatica a consolidare le proprie potenzialità esoteriche ed empatiche. Marco lo sa e traduce il bisogno di fuga e conseguente spleen in nove, splendide composizioni. Tanto semplici quanto stratificate, tanto scheletriche quanto desiderose di ampi spazi di manovra emotiva. Non ci sono solo le magniloquenze cristallizzate dei deserti, rievocati nei suoni e nei fraseggi vocali che le compongono ma anche lievi momenti di intimità giostrati nella quiete apparente, quando sedie a dondolo cigolanti scandiscono i silenzi, come nei migliori western d'annata. Quelle, per capirci, in bella mostra sulle verande di case sbiadite, a volte immerse in tramonti infiniti, o albe sature di speranza. Black Snake Moan crea così le sue magie nel tentativo di tradurre se stesso al mondo che lo circonda, alla ricerca di un approccio con chiunque parli la sua stessa lingua al di là delle note sghembe, e a modo loro rassicuranti, come una vecchia nonna. Insomma ci culla, ci vizia di bellezza, al netto di noie e dejà vu, sulla rotta intimista e rurale di Mark Lanegan, talvolta Screaming Trees, Black Angels e Wovenhand. "Lost In Time" è musica liturgica, rituale, che cresce traccia dopo traccia, tra echi psichedelici ricamati dall'Hammond che sembra suonato dallo spirito di Ray Manzarek, pregiati episodi (swamp) folk, e reminescenze chiaroscurali in odore di post punk. Semplicemente chiudi gli occhi e ti accorgi di volare via, svegliandoti in un altrove che non è poi tanto male. "Lost In Time", alla fine dei mille ascolti, si conferma come l'album evocativo, marziano a suo modo, e soprattutto molto poco italiano. che ci meritiamo in un giorno di fine estate. E per questo suo parlare un esperanto interiore, comune a tanti se non a tutti là fuori, meriterebbe di essere suonato ben al di là dei confini nazionali. Che dire poi di "Sunrise", una delle sue massime vette, velata di foschia? Il featuring di Roberto Dell'Era (Afterhourhs, The Winstons) è il tratto sapiente e senza tempo che chiude il cerchio alla perfezione.
Consigliato!
ASCOLTA: Dirty Ground, Come On Down, Put Your Flowers.