giovedì 26 settembre 2019

Maurizio Curadi: "Phonorama" (Area Pirata, 2019)


Al di là delle definizioni, dei limiti estetici, con cui si cerca sempre di circoscrivere un lavoro discografico "strano", "Phonorama" di Maurizio Curadi (Steeplejack) si impone all'ascolto come un "oggetto non identificato" di estremo fascino mesmerico.
Che naviga in acque più pacate che burrascose, cui il termine "sperimentale" sta strettissimo e fuori fuoco rispetto alle 6 plastiche composizioni che ne strutturano la tracklist (in realtà 9 con le bonus track, per una lunghezza che sfonda in totale l'ora di performance).
Maurizio, qui, non fa altro che accomodarsi sullo sgabello e trasformare le sue chitarre nelle protagoniste assolute di un viaggio onirico, dove psichedelia, musica progressiva, elaborazione dei suoni e assetti circolari figli bastardi del kraut teutonico, si fondono in un soffio caldo e mellifluo che accarezza e affranca da ogni inibizione.
Potremmo banalmente infilare "Phonorama" nella casella "chillout" o "ambient, se non fosse per quella attitudine dell'artista a scansare ogni responsabilità contestuale, esplorando territori musicali - seppur non innovativi - al netto di noia e ridondanze.
Tutto sommato "Phonorama" mi è piaciuto parecchio: parliamo di un album che non vorrebbe essere per tutti, ma paradossalmente lo diventa, stemperando il vocabolario concettuale con grande qualità interpretativa.


Ascolta: "Cicadas", "Hidalgo".





Davide Monteverdi


martedì 24 settembre 2019

Chastity Belt: "Chastity Belt" (Hardly Art, 2019)


Questo è il giorno ideale, almeno dalla mia finestra, per ascoltare il nuovo album delle Chastity Belt: cielo plumbeo, pioggia fine e incessante, temperatura in calo drastico, e quell'aria indecisa che ogni lunedì assume quando l'estate scivola nell'autunno senza un minimo preavviso.
Eppure in questo omonimo, quarto, album c'è una scintilla a bilanciare le composizioni intimiste e venate di nostalgia postadolescenziale. Una sorta di bagliore al neon che allo stesso tempo ipnotizza e illumina fiocamente una strada priva di pericoli alla vista, rassicurante e stimolante nella sua progressione, proprio come le 10 tracce composte, suonate, e cantate dal quartetto (adottivo) di Seattle. 
Julia Shapiro è bravissima a ricreare l'empatia da ostello con le altre componenti della band, a delineare uno spazio aperto e libero dove le confidenze anche scomode scaturiscono senza forzature, dove le voci incrociano gli strumenti senza mai una sbavatura.
"Chastity Belt" è infatti costellato di ormoni e sentimenti, consapevolezza e buoni auspici, s'intuisce perfettamente come il passato sia un necessario bagaglio esperienziale che non tornerà più, nel bene e nel male.
E a testimonianza di questa (sofferta ma imprescindibile) evoluzione esistenziale, anche la forma canzone si spiega con raffinatezza e maturità inaspettate: ecco allora i violini comparire per la prima volta facendo il paio con i synth, poi una maggiore fluidità tra liriche e musiche, e infine la sinergia matematica tra le ragazze quando si smazzano le diverse parti vocali. A dimostrazione di un feeling ritrovato al volo dopo un breve stand by, e conseguenti progetti individuali, nel recente passato.
Due anni di attesa dal precedente "I Used To Spend So Much Time Alone", evidentemente spesi molto bene, ed eccoci qua con una nuova raccolta di canzoni struggenti eppure a loro modo sbarazzine.
Con le chitarre di Julia Shapiro e Lydia Lund a sprizzare quintali di melodie irresistibili e flasback continui e indecisi tra neopsichedelia, new wave, e shoegaze. Con il basso imperioso di Annie Truscott e la batteria metronomica di Gretchen Grimm a puntellare l'intera tracklist, secondo dopo secondo.
"Chastity Belt" è stata davvero una sorpresa inaspettata e gentile: generosa nel dispensare momenti chiaroscurali quanto nel lenire il fallout di certi giorni bigi, dominati dai massimi sistemi e dalle loro conseguenze.
On repeat, dolcezza, on repeat!



Ascolta: "Effort", "Apart", "Split"


Hardly Art


Davide Monteverdi