-->
Grave Babies: “Crusher” (Hardly Art, Cd 2013).
Mi sono appena fatto un giro assurdo negli anni 80.
Perché “Crusher”, secondo album in studio per il combo di
Seattle, sta tutto qua. A differenza delle note autoreferenziali dell’etichetta
che spacciano un gruppo Post Punk come un’entità aliena, del tutto innovativa,
comunque diversa dalla storia intera.
E invece ecco gli strampalati adulatori percorrere gli
stessi sentieri, seguendo pure le medesime impronte, di tipacci come Christian
Death, Danse Society e Play Dead, apparecchiati con tutto l’immaginario Gothic
del caso.
Solo che adesso siamo nell’era Hipstamatic, dove il colore
sbiadito sublima in un grigio/nero dominato dal feedback e dai glitch di fondo
piazzati ad hoc, confondendo i Dinosaur Jr con i Joy Division, i Theatre Of
Hate con gli Helmet, gli Psychic Tv con gli Horrors senza desiderio di
continuità.
Nei dodici episodi di “Crusher”, che meglio afferrano forme
e movenze di canzoni vere e proprie, c’è forse spazio per una lontana ironia,
ma nessun amico, sappilo, ti
spalancherà entusiasta la porta di casa
alle 7 di una domenica mattina nebbiosa.
Con quel ghigno in hangover e le orecchie in fiamme per
l’overdose di synth nevrotici e scompensati.
L’autismo sonico è tra noi kids, con le dovute riverenze dell’ultimo secondo
a Nirvana (magari “Bleach”?), Ministry, Einsturzende Neubauten, O.M.D. e chi
più ne ha più ne metta.
“Crusher” è la fottuta pecora nera che violenta Heidi
all’orizzonte, un tuffo nel mare di notte con quel sadomachismo elegante che
non guasta se dosato da sottili siringhe ipodermiche.
Un disco bello e perverso questo, come solo il
neoromanticismo può essere all’ora del thè in casa Manson.
Deejay Dave.
Nessun commento:
Posta un commento