venerdì 28 dicembre 2018

Marshmallow Overcoat: "Songs From The Motion Picture All You Need Is Fuzz" (Area Pirata, Cd 2018).


Da Tucson a Pisa in 25 tracce e 30 anni di scorribande a zonzo per il pianeta.
Nasce così l'incredibile e bellissimo matrimonio tra i Marshmallow Overcoat e Area Pirata, label che si conferma ancora una volta come solida realtà tricolore a livello internazionale.
Questo "Songs From The Motion Picture All You Need Is Fuzz", oltre a testimoniare il promettente incontro transoceanico, è una sorta di Best Of della creatura garage psichedelica di Timothy Gassen, a 4 anni dal precedente lavoro ufficiale "The Very Best Of": lussuoso packaging, 3 brani nuovi, 7 mai apparsi prima in cd, edizione limitata a 300 copie, un libro di 56 pagine in PDF che riassume i 3 decenni di vita discografica della band dal seminale "The Inner Groove", anno di grazia 1987.
Ma non solo.
E' anche la funzionale colonna sonora del nuovo docufilm girato da Gassen medesimo "All You Need Is Fuzz: 30 Years In A Garage Band" dove il prime mover della scena neo psichedelica statunitense, autore tra l'altro della bibbia di genere Knights Of Fuzz, descrive per immagini la sua missione di pura fede e sacrificio, stelle e stalle in alternanza precaria dove il realismo è implacabile e i sogni di gloria poesie inespresse, in mezzo a rasoiate fuzz e farfisa indomabili.
I Marshmallow Overcoat costruiscono un album prezioso, oltrechè compendio definitivo della loro incredibile carriera e per le generazioni a venire, in cui ogni canzone tesse un legame sonico indelebile e minuzioso tra presente e passato, passando per un crocevia desertico dove coerenza e fanatismo sono le uniche direttrici percorribili.
"Songs From The Motion Picture All You Need Is Fuzz" è un lavoro godibile dal primo all'ultimo secondo, indirizzato a tutti, soprattutto ai fanatici/completist delle sonorità garage paisley più calligrafiche: basta farsi un attimo l'orecchio sulla voce di Timothy talvolta (volutamente) urticante e manierata per poi procedere estasiati fino alla traccia n°25.
I Marshmallow Overcoat, a differenza di molte altre band coeve, non sono stati una meteora nel panorama revivalistico degli anni 80 (e successivi), anzi, hanno lasciato segni tangibili, seppur senza mai graffiare davvero in profondità, del loro percorso artistico. Trovarsi poi fianco a fianco con band fenomenali come Miracle Workers, Fuzztones, Chesterfields Kings e Morlocks non ha sicuramente aiutato la loro ascesa nel firmamento Garage.
A noi va comunque benissimo così, perchè ciò che era considerato repertorio "minore" una volta oggi, nel 2018, diventa magicamente oro zecchino preziosissimo.
I Wish It Could Be 1965 Again (or 1985).

Davide Monteverdi.






martedì 14 agosto 2018

DEAF WISH: "LITHIUM ZION" (Sub Pop, 2018).


I Deaf Wish sono un quartetto piuttosto rumoroso e irrequieto che proviene da Melbourne, Australia, città che può vantare grandi tradizioni in un certo ambito rock, quello più claustrofobico e chiaroscurale, dove a vario titolo hanno sguazzato per anni tizi come Birthday Party, Foetus, Ikon, Lisa Gerrard e Bad Seeds tanto per citare quelli che ce l'hanno fatto a vedere la luce.
"Lithium Zion" è il quinto lavoro in studio della band, il secondo per la Sub Pop, ed è magnificamente disturbante durante i suoi 40 minuti di perlustrazione incessante dell'imbrunire, grazie alla meticolosa bravura nel fotografare squarci di vita aliena urticanti e compressi fino al fastidio fisico. E' un mix compatto di noise rock, new wave, shoegaze, indie rock (e chi più ne ha più ne metta) che sottolinea alla perfezione le linee vocali della leader Sarah Hardiman e della band in generale che si alterna al microfono con risultati davvero interessanti.
Insomma 11 pezzoni (quasi tutti) poderosi che ricalcano sì tematiche già ampiamente sentite, ma che ritoccate qua e là con piglio adrenalinico e ispirato vivono di vita propria: ci senti dentro l'eco di Fall, Siouxsie & The Banshees, Dinosaur Jr, Sonic Youth e mezzo catalogo Sub Pop/SST. I kids però  viaggiano veloci e lontani con le melodie che possono permettersi e lo fanno bene, strizzando al minimo sindacali le concessioni "pop" e dando il La ad un'idea personale e ben rifinita in ogni dettaglio.
"FFS", "Lithium Zion", "Birthday", "Smoke" sono vere e proprie leccornie novembrine in anticipo sui tempi, "OX" e "Deep Blue Cheated" stanno lì ad un'incollatura in questo affresco sonoro che è una delle vere sorprese dell'estate 2018.
Interessante!







Davide Monteverdi

venerdì 27 luglio 2018

THE 16 EYES: "LOOK" (Area Pirata, 2018).


Ecco un altro album super solare da portarsi in spiaggia per far festa con gli amici.
"Look" è l'esordio firmato dai The 16 Eyes, domiciliati a Phoenix ma nomadi a stelle e strisce nell'animo, sorta di supergruppo capitanato dal leggendario Orin Portnoy già bassista con Optic Nerve e Outta Place. Insomma un personaggio che di sound malati e storti in ambito rock se ne intende e parecchio.
Le 14 tracce (per quasi 40 minuti di buona fattura) suonate dal quartetto spaziano agili tra Garage Punk, Mod, Beat e Psych accodandosi di diritto alla discografia dei classici del Revival Sixties anni 80.
Lì ad  una incollatura buona da pesi massimi come Lyres, Fuzztones, Miracle Workers, Chesterfield Kings, Plan 9 senza risultare ridondanti nel loro percorso spazio/temporale/emozionale, solo un pò "ruffiani" a volte nello sfiorare i tasti giusti per farci bagnare come al liceo.
Certo ci vuole coraggio a produrre musica così nel 2018 (periodo non certo prodigo verso queste sonorità) e dedizione profonda mixata a capacità compositive acclarate, senza dimenticare le manate a go go di sana follia, il plus vincente per creare un gioiello "minore" come questo "Look".
Dove ogni tassello, ogni pausa, ogni ripartenza è asservita alele auree atmosfere soniche così da incenerire ogni dancefloor e far sanguinare i piedi nelle notti senza luna.
"Anyway", "Brand New Girl", "Leaving Here", "Shot In The Dark", "Stupid Little Girl" e "Gotta Go-Go" sono il paradigma perfetto alla bisogna, non serve altro per far scattare il sacro fuoco a ripetizione serrata.
Brava tutti i kids di Area Privata per questa pregiata uscita estiva (la versione in vinile pesante è limitata a 300 pezzi) e bravi The 16 Eyes a non mollare un cazzo..



Davide Monteverdi

lunedì 16 luglio 2018

THE BRADIPOS IV: "Lost Waves" (Area Pirata, 2018).


Più di vent'anni sulla cresta dell'onda e non fare una piega.
Suonano così, ancora incredibilmente bene, i Bradipos IV ed oggi arrivano al traguardo del 4° album, questo "Lost Waves", che non sposta di un millimetro l'amore del combo casertano dalle consuete coordinate che guardano al nuovo continente d'oltreoceano. E più precisamente alle spiagge californiane dei primi anni '60, nel pieno dell'impeto innocente e ingenuo pre Vietnam e pre Summer Of Love. Con in più una verve emo(tiva) ereditata dal recente tour che li ha portati a spasso nel deserto tra Las Vegas e Joshua Tree. Luogo colmo per antonomasia di visioni e finzioni, solitudine e creatività, dissoluzione e viaggi astrali, e che ha decisamente influenzato il loro spettro compositivo elevandolo ad una maturità che in precedenza pareva già acquisita, ma che in realtà oggi si è sviluppata ben oltre ogni confine creativo di genere.
Da tutte queste nuove esperienze nascono le 10 bellissime tracce originali e le 2 cover di pregio ("Ghost Hop", "Siboney") dell'album che vanno così a puntellare un blend perfetto tra musica strumentale e surf, non solo grazie a chitarre scintillanti e chirurgiche, ma anche al minutaggio medio che fila via veloce senza un attimo di tregua o noia.
I Bradipos IV con "Lost Waves" confezionano l'album più equilibrato e vibrante della loro carriera confermandosi, nel caso ce ne fosse ancora bisogno, come una delle migliori band strumentali al mondo.






Davide Monteverdi

martedì 10 luglio 2018

LA LUZ: "Floating Features" (Hardly Art, 2018)


Terzo album per il quartetto di Seattle californiano d'adozione (le ragazze risiedono ora in pianta stabile a Los Angeles) sempre via Hardly Art, sottoetichetta nell'orbita Sub Pop, e prodotto con grande eleganza da Dan Auerbach dei Black Keys.
"Floating Features" esce nel Maggio di quest'anno centrando il primo obbiettivo, ovvero classificarsi come lavoro dal taglio prettamente estivo e delicato come un pugno di sabbia cullato dal vento.
11 tracce che non tradiscono le origini indie del combo, guidato dai vocalismi sensuali di Shana Cleveland (voce e chitarra) e da tutto quell'immaginario che pesca a piene mani nel repertorio di band femminili (e non) degli anni '60/'70, tra psichedelia desertica e folk, suggestioni surf e volute dreampop/shoegaze proprio nell'anno del loro grande ritorno.
Insomma "Floating Features" è musica luminosa, soffice, trasognata, cinematica e perfetta per le gite fuoriporta della domenica o per i falò in spiaggia dopo il mare ristoratore.
Un ascolto che suggerisce l'heavy rotation immediata, cavalcando l'onda lisergica già dai primi minuti grazie al Farfisa di Alice Sandahl e al poderoso cesello ritmico della batteria di Marian Li Pino e del basso pulsante di Lena Simon.
Uscito a tre anni di distanza dal precedente "Weirdo Shrine", "Floating Features" si fa amare come un gattino trovato per strada, in maniera del tutto innocente e appassionata. Soprattutto grazie al generoso balzo in avanti sia a livello compositivo che strumentale confermandosi così, senza fatica, la raccolta di canzoni più completa delle La Luz dall'esordio a oggi.
"Loose Teeth", "California Finally", "The Creature", "Greed Machine" e "Don't Leave Me On The Earth" piacciono subito e sarebbero le sicure hit agostane in un mondo migliore e sghembo come pochi.
Ora basta pensare, è tempo di chinotto, tamburelli e peyote.







Davide Monteverdi.




mercoledì 27 giugno 2018

GDG MODERN TRIO: "Spazio 1918" (Brutture Moderne, 2018)


"Spazio 1918" è un album che ti fa letteralmente volare via di testa.
Non c'è altro da dire.
Parliamo di pura magia sonora e compositiva, di una sommatoria di talenti virtuosi della scena Off italiana che cesellano 11 brani fuori dal tempo e dalle latitudini.
Loro sono Bruno Dorella (Ronin, Bachi Da Pietra), Stefano Ghittoni (Dining Rooms, Tiresia) e Francesco Giampaoli (Sacri Cuori, Brutture Moderne) all'esordio sulla label Brutture Moderne dopo 2 anni di intenso lavoro in studio di registrazione.
Parliamo di musica cinematica, di landscapes avvolgenti e dal volto umano, di macchine al servizio dell'ingegno e della sensibilità flessibile di artisti dal sangue caldo ma misurato, dai suoni obliqui ma carezzevoli in ogni singolo episodio.
Davvero una bella sorpresa "Spazio 2018": un susseguirsi lisergico di strumentali (tranne la favolosa "Spirit" cantata da Ghittoni in versione Greg Lake cosmico) che paiono piccoli sketch per film dal glorioso passato, trafitti come sono da schegge di Funk e Trip Hop, Afro e Jazz, ElettroAmbient e Psichedelia, ammaestrate alla perfezione in un'amalgama struggente ed altamente evocativa.
I GDG Modern Trio sono bravi a brandire chitarre, synth, samples e beats come consumati esorcisti nel tentativo di sintetizzare la notte, i suoi marciapiedi chiazzati di stelle pieni di demoni rozzi e deliri ipnotici, per poi somministrarla di giorno in blister di pura resistenza musicale alla Banalità.
Insomma applausi a scena aperta per "Spazio 1918" e attendiamo i GDG Modern Trio nella dimensione che più ci piace, quella live!










Davide Monteverdi

mercoledì 20 giugno 2018

BONSAI BONSAI: "Bonsai Bonsai Ep" (Audioglobe 2018).


Buona la prima per i Bonsai Bonsai, quintetto di giovanissime promesse in arrivo da Livorno e insieme dal 2015.
In questo Ep omonimo, prodotto da Daniele Catalucci dei Virginiana Miller, appare chiaro fin da subito il blend sonoro con cui la band tesse i sei episodi della tracklist, circostanziando così il suo ideale manifesto espressivo: un pò di Psichedelia sognante, qualche spruzzo di New Wave, un assaggio di Prog, tastierine volanti, liriche in inglese e un paio di cavalcate chitarristiche, che descrivono al meglio gli episodi più muscolari e intensi di questo esordio vale a dire "Opening" e "Closing".
Ad un'incollatura in scia ci sono le splendide (almeno per me) "Caught" e "Trees", esercizi di stile in labile equilibrio tra la neopsichedelia di Spacemen 3 e Loop,  i primi King Crimson, e certe ritmiche marziali buone per i dancefloor obliqui versione "il futuro di una volta".
Non male neanche "Question" e "Ripe", nonostante la formula "ballatona" non esprima al meglio il potenziale dei Bonsai Bonsai.
Speriamo di vederli presto dal vivo per testare effettivamente il feeling generale con questa formula rock, augurandogli un'uscita sulla lunga distanza che confermi il loro talento in piena evoluzione.
Intanto grazie per questa mezzora (scarsa) di buone vibrazioni e suggestioni mai banali.








Davide Monteverdi

martedì 19 giugno 2018

Festival Beat XXVI Edizione 27 Giugno/1° Luglio Salsomaggiore Terme.



Puntuale come l'estate ecco qua la nuova, lussuosa, edizione del Festival Beat.
Per dovere di cronaca la 26esima promossa da Bus1 e ormai di casa in quel di Salsomaggiore Terme, dove l'amministrazione si conferma ancora una volta partner attenta e partecipativa.
Si inizia easy e cotonati Mercoledì 27 Giugno e si termina da dropouts Domenica 1° Luglio con sfiziosi eventi collaterali (dj set e live) negli spazi del Bacio Di Vino a Salsomaggiore.
Il core della manifestazione rimane però l'Area Live di Ponte Ghiara, dove materialmente si focalizzerà la due giorni "mortale" di Venerdì  29 e Sabato 30 Giugno con concerti e balli, expo vari (vinili e abbigliamento vintage) ed aree culinarie per tutti i gusti.
Quest'anno la line up selezionata da Gianni Fuso & Co si è ulteriormente distinta per il continuum sonico e temporale, riuscendo nella non facile operazione di selezionare veri e propri mostri sacri  appartenenti ad almeno cinque decadi musicali differenti, dagli anni '60 ad oggi.
Troviamo così l'unico show europeo dei leggendari psycho garagers Chocolate Watchband capitanati da Dave Aguilar e Gary Andrijasevic, il ritorno di Jim Jones con la prima band Thee Hypnotics, gli Scientists di Kim Salmon e il loro torrido di blues punk dall'Australia, poi ancora King Khan and The Shrines al giro di boa dei 20 anni di carriera e infine Ron Gallo, la "next sensation" da Philadelphia, che presenterà l'acclamata opera prima "Heavy Meta"..
Ma non è finita qui perchè, a corollario degli headliners, si esibiranno anche un tot di band incredibili come Men From S.P.E.C.T.R.E, Lame, Hipbone Slim e Diplomatics tra le altre.
Più che una kermesse il Festival Beat rappresenta, soprattutto nel 2018, una sincera e coerente Way Of Life. Dove gioia, divertimento, passione, aggregazione, musica e disimpegno si miscelano in dosi perfette vagheggiando i bei tempi che furono, anzi refreshandoli nel migliore dei modi possibili.
Dunque viva la Musica, viva il Festival Beat!

Un ringraziamento particolare a Giovanna Ravazzola.



Tutte le info qua sotto:




Davide Monteverdi


mercoledì 13 giugno 2018

CELIBATE RIFLES: "Roman Beach Party" (Area Pirata Re, 2018).


Se sei uscito vivo dagli anni 80 non puoi non ricordare un album strabiliante come"Roman Beach Party" dei Celibate Rifles.
Uno di quegli ascolti che ti cambiava la giornata, la vita, e contemporaneamente ti devastava la stanza nei pomeriggi agitati del dopo scuola.
Questo quarto lavoro in studio esordisce sugli scaffali nel 1987 (cercatevi l'aneddoto bislacco che gli regala il titolo) e catapulta la band di Sidney nell'empireo musicale alternativo, insieme a Radio Birdman, Saints, Cosmic Psychos, Eastern Dark e sparuti altri devoti ai fondamentali di MC5 e Stooges.
Undici tracce di qualità immensa, ponte ideale tra passato e futuro della scena rock and roll/garage australiana, e che da lì a poco lasceranno segni indelebili anche in giro per il mondo grazie ai chitarrismi spietati del duo Steedman/Morris e alla voce stralunata di Damien Lovelock, davvero una spanna sopra nelle esibizioni dal vivo.
Undici bombe atomiche che marchieranno a fuoco e in maniera inequivocabile il sound dei Celibate Rifles per gli anni a venire e il resto, come si dice, è Storia!
Ci vorrebbe poi una standing ovation per i kids di Area Pirata e per il certosino lavoro di divulgazione musicale a cui questa prestigiosa ristampa non si sottrae, nutrendo in realtà la (sana) ambizione di diventare il fiore all'occhiello nel catalogo della label pisana.
L'edizione di "Roman Beach Party" è lussuosa e davvero ben fatta: tiratura limitata a 600 copie in vinile pesante, copertina gatefold, foto ed interviste esclusive, coupon per il download digitale incluso, e tutto il pack ad un prezzo assolutamente popolare se paragonato a stampe originali in condizioni ottimali.
Quindi fatevi un favore e prenotate subito una copia di "Roman Beach Party" sul sito di Area Pirata.
Se è vero che il Rock And Roll salva la vita allora questa ristampa vi renderà immortali!








Davide Monteverdi

lunedì 11 giugno 2018

ROLLING BLACKOUTS C.F. : "Hope Downs" (Sub Pop, 2018)



Uscirà il prossimo 15 Giugno "Hope Downs" il primo lavoro sulla lunga distanza dei Rolling Blackouts Coastal Fever per l Sub Pop, label dove hanno esordito nel 2017 con lo splendido Ep "The French Press" (appena dopo un altro Ep "Talk Tight" pubblicato su Ivy League nel 2016) subito recensito con incredibile entusiasmo su queste pagine.
Il quintetto di Melbourne prosegue con naturalezza il discorso di "The French Press" dando vita a 10 tracce di guitar pop scintillanti, ora sporcate di immediatezza (indie) punk, ora virate su latitudini di country folk lunare, con grandissima personalità e chiarezza di intenti: diffondere la propria musica, un eccitante viaggio in altalena tra gioia e melancolia, intimismo e adrenalina, ovunque e senza sottoscrivere particolari compromessi con il music biz.
E a quanto sembra l'operazione sta riuscendo alla perfezione.
Merito soprattutto delle esibizioni incendiarie in festival prestigiosi e ultra glam come il Coachella e il Primavera Sound, dove la band ha ottenuto risultati strabilianti sia in termini di critica che di pubblico, rimarcando l'innata capacità di coniugare al meglio l'alto livello di ottani sul palco e l'interazione serrata con il pit adorante.
Così Frank Keaney e soci hanno potuto testare su strada le grandi potenzialità di "Hope Downs", saggiamente trainato dalla promo virale dei primi due singoli "Mainland" e "Talking Straight", che si rivela album completo, dal fascino immediato, e fresco come una margherita di campo conquistando attenzioni e balli immaginifici fin dal primo ascolto.
In giro si parla già dei Rolling Blackouts come dei nuovi Go Betweens in salsa 2.0, sorta di supposta salvifica nell'attuale panorama indie sempre più asfittico, in virtù di liriche schiette ed immediate che si fondono alla perfezione con il jangle sound chitarristico di (presunta) scuola Television, Hatcham Social e Flying Nun.
Nulla di nuovo, sia chiaro, ma refreshato in maniera sublime: date un'occasione a pezzoni come "An Air Conditioned Man", "Time In Common" e "Bellarine" e vedrete che in casa volerà tutto di sicuro.








Davide Monteverdi

martedì 22 maggio 2018

THE SCRUBS: "Skulls And Dolls" (Area Pirata, 2018).


In certe situazioni parla la Musica ed è più che sufficiente.
Gli Scrubs da Lodi confezionano un album d'esordio semplicemente PERFETTO.
Tredici tracce originali più la cover di "Be A Caveman" degli Avengers (no, non quelli di Penelope Houston) che inquadrano il fenomeno Garage Punk nella sua essenza 2.0: nessuna sbavatura, nessuna ingenuità, genuinità a pacchi, suoni taglienti e precisi che rendono un doveroso tributo (e nulla più) al revival 80's più che ai 60's di riferimento.
25 minuti che scorrono via come una pinta di birra ghiacciata, dove i link musicali sono altissimi e rispondono al nome di Sonics, Miracle Workers, Chesterfield Kings, Plan 9, Gravedigger V, Sick Rose, Fuzztones, Lyres tra quelli che vengono in mente ai primi furibondi ascolti.
"Skulls And Dolls" sembra provenire da un altro universo, da una galassia dove tutto è pace e amore, musica e gare di impennate, sbronze e onde sfavillanti.
Lodi, lo capite? Lodi, e poteva tranquillamente essere Portland, Los Angeles, Austin, Londra, Goteborg o Atene.
Tanto il linguaggio utilizzato dalla band è internazionale sia come background sonico che come attitudine generale che i minuti della tracklist tratteggiano con dovizia di particolari.
Ecco, gli Scrubs sono la Tempesta perfetta o perlomeno ne annunciano, beffardamente, l'arrivo prossimo venturo.
Bravo Massimo Robbi, bravi tutti i kids a costruire un album IMPRESCINDIBILE per chi mangia pane e garage tutti i giorni. Dove vocals, chitarre, Farfisa e sessione ritmica giocano con assoluta scioltezza un altro sport, travolgendo tutto e tutti con l'entusiasmo dei primi giorni di scuola!
Grazie Scrubs, grazie Area Pirata e ha pure smesso di piovere.
"Skulls And Dolls" esce su cd in tiratura limitata a 500 copie.
Troppo poche? Speriamo di sì!





Davide Monteverdi








giovedì 17 maggio 2018

PLUTONIUM BABY: "BLAST! Sci-Fi Music For Contemporary Freaks, Area Pirata 2018)


Ce ne vorrebbero molti di più di album come "Blast! Sci-Fi Music For Contemporary Freaks".
Con l'obbligo di ascoltarli fin dalla prima colazione, proprio come sto facendo io ora, per capire fino in fondo quanto certi suoni siano necessari all'inquieto vivere di noi rockers senza vergogna.
La band capitolina trova la micidiale quadratura in queste nuove 12 tracce mixate da Wolfman Bob e uscite a Marzo, che richiedono un immediato on repeat sul lettore quasi liquefatto da cotanta energia esplosiva.
I protagonisti di questa gioiosa furia, nonchè party harder bardati di pelle e borchie, sono Fil Sharp (synth, voce, chitarra), Feith Da Grave (batteria) e soprattutto Black Guitarra (voce, chitarra, synth) la frontwoman che tutto può, compreso afferrarti per le palle e scagliarti ad anni luce di distanza con il sorriso stampato in faccia.
I Plutonium Baby fanno musica difettata, dilaniata, slabbrata, postnucleare.
Vale a dire il meglio di ciò che si può suonare oggi quando nel DNA hanno sedimentato i 60's più oscuri mixati a pericolose derive dai decenni successivi: Mummies, B52's, Trashmen, Cramps, Devo, Jay Reatard, X Ray Spex, Rip Offs, Man Or Astroman?, Suicide
Ovvero il Gotha dello Psycho Garage  Punk più genuino e autentico dalla creazione di questo pianeta.
"Blast!" dura una mezzoretta e questo, probabilmente, è l'unico neo dell'intero progetto: infatti quando arrivi alla fine di "Highway Hypnosis" è ovvio che ne brami di più, sempre di più, con la cupidigia ingestibile di chi ha goduto bene e vuole continuare a spargere orgasmi qua e là in totale anarchia.
I Plutonium Baby ci sanno fare di brutto. E colpiscono nel segno perchè reinterpretano, con personalità e ironia, canoni musicali già ampiamente sfruttati svicolando però, abilmente, dai dannosi clichè di genere.
Comprare, comprare, comprare.







Davide Monteverdi.

domenica 29 aprile 2018

VANARIN: "OVERNIGHT" (Woodwarm Label, 2018).



"Overnight" è l'album di debutto su Woodwarm Music per la band di Bergamo, ma italo inglese per ascendenze genealogiche.
Capitanati da David Paysden (cantante, tastiere, chitarra) i Vanarin ci guidano mano nella mano, minuto dopo minuto, nel loro mondo sonoro fatto di altalene e zucchero filato.
L'album (pubblicato dopo un omonimo Ep autoprodotto nel 2017) è uscito a Marzo ed è composto da 10 tracce piuttosto eterodosse tra di loro, nonostante al di là delle influenze più varie si assapori un retrogusto comune che prende abbrivio dalla psichedelia.
O meglio, dalla personale declinazione che i Vanarin stessi danno ai suoni di matrice 60's e 70's, spruzzandoli qua e là di modernità sintetica e fragranza genuinamente italica.
"Overnight" non è un disco che ti entra nelle vene all'istante però: ha bisogno di essere assaggiato, masticato, digerito con pazienza e tempo utile a disposizione.
Ne esce così questa manciata di canzoni più che discrete, dalle atmosfere tratteggiate con delicatezza, e di sufficiente personalità compositiva.
La strada non è ancora del tutto in discesa per il quintetto lombardo, anche se il focus verso tentazioni POP(ular) è ben chiaro all'orizzonte e raggiungibile in scioltezza al netto di banali sbavature ovviabili, come l'essere talvolta scontati nel reiterare la calligrafia sonica mandata a memoria in anni di sale prove.
A conti fatti i Vanarin sono una band dagli ottimi margini di crescita e solo a fine rodaggio potremo alzare le palette e votare con obbiettività, magari di fronte ad un nuovo lavoro in studio.
Nel frattempo godiamoci questo "Overnight" augurandoci di incrociarli presto on the road.
Bello il packaging del cd.






martedì 24 aprile 2018

HOT SNAKES: "JERICHO SIRENS" (Sub Pop, 2018).



L'indiscutibile talento di Rick Froberg e John Reis è tutto qui, in "Jericho Sirens".
Il nuovo, quarto, album per gli Hot Snakes o meglio il primo dal 2005, data del loro improvviso scioglimento, nonostante siano ritornati blandamente in azione già dal 2011 con una manciata di esibizioni live.
Quattordici anni, se la matematica non è un'opinione, e come si dice non sentirli in assoluto, soprattutto mettendo mani e orecchie alle 10 bordate della tracklist: nessuna concessione, nessuna titubanza, nessun calo di tensione o creatività, ma l'esatto contrario
"Jericho Sirens" è, infatti, l'evoluzione naturale del suono incrociato di Drive Like Jehu e Rocket From The Crypt, dopato di testosterone e furia cieca, bipolare ma in controllo quasi manicacale.
"Hardcore Garage Punk" ne ha saggiamente scritto qualcuno centrando il punto: un mix letale cui aggiungere l'amore bruciante in primis per i Wipers, poi per i Suicide, At The Drive In, Nomeansno, New Bomb Turks, Swans e Shellac, ricomposti sadicamente in un mosaico preciso dai bordi taglienti come rasoi.
Per l'esordio su Sub Pop (che ristamperà a breve l'intero catalogo della band di San Diego) Rick e John mettono prima mano alla line up originale coinvolgendo tutti gli attori del recente passato, compresi i due batteristi Jason Kourkounis (Delta 72) e Mario Rubalcaba (Earthless, Off!) oltre al bassista Gar Wood, affidandosi quindi alle indiscusse capacità del fido Ben Moore in fase di produzione.
Ne esce una bomba a frammentazione devastante a tutti i livelli.
Detto per inciso non siamo in odore di una qualsivoglia operazione Nostalgia, perchè gli Hot Snakes hanno mantenuto il piglio "in your face" al netto di qualsiasi compromesso commerciale: suonano davvero e lo fanno benissimo rivitalizzando con ottima sinergia suoni e liriche di un genere col fiato corto da anni.
Poco importa quanto siano angolari, brutali, veloci, ironici e urticanti.
A loro non glien'è mai fregato un cazzo della moda, tantomeno di suonare al Coachella.
Davvero, è tutto bellissimo, ma "I Need A Doctor", "Six Wave Hold-Down", "Jericho Sirens" di più!







Davide Monteverdi

mercoledì 18 aprile 2018

THE SICK ROSE: "Someplace Better" (Area Pirata, 2018).


Il 35° anno di vita dei Sick Rose ci regala anche il loro 7° album.
"Someplace Better", sottotitolato "A Metaphoric Journey In Search Of A Better Place", ci restituisce una band (rimangono solo Luca Re e Diego Mese del nucleo originario) carica di nuove idee, nuovi percorsi e suoni ibridi tra il vecchio corso, più sporco e stradaiolo e questo nuovo, evoluto verso lidi roots e neopsichedelici.
Grazie all'intervento in sede di mixaggio e produzione di un pezzo da 90 come Ken Stringfellow, già con Posies R.E.M. e Big Star, e di una verve compositiva generale in grande spolvero.
"Someplace Better" è un album super solare e divertente, le cui 11 tracce tutte orginali contribuiscono ad alimentare il (giusto) mito di cui i Sick Rose godono in Italia e nel resto del mondo.
Insomma stiamo a parlare di un'eccellenza tricolore che meriterebbe un proscenio "pesante" e dal respiro sicuramente globale, nonostante la mia prima impressione è che i kids non siano tanto interessati a battaglie di ego e aereoporti, quanto a stigmatizzare con il loro sound sferragliante una compattezza e corenza raramente riscontrabili.
Bravissimi sì, ma brava anche Area Pirata a sovrintendere il progetto con una visione d'insieme e strategica fuori dal comune per una label indipendente, soprattutto in tempi non semplici come questi.
Parliamo di un packaging molto bello (merito del chitarrista Giorgio Cappellaro) e, as usual, di un'uscita in tiratura limitata sia in vinile che in cd.






Davide Monteverdi

giovedì 12 aprile 2018

MAMUTHONES: "FEAR ON THE CORNER" (ROCKET RECORDINGS, 2018)


"Fear On The Corner" è un bellissimo disco alieno.
Come lo potrebbero suonare i marziani dopo essersi iniettati in vena il meglio della musica obliqua contemporanea: dai Talking Heads (Fear Of Music) a Miles Davis (On The Corner), dai Joy Division con Martin Hannett a Fela Kuti e William Onyeabor, sbandando infine sui ritmi mondialisti, sofferti, e perfettibili di cult label come ZE Records e ON-U Sound.
Basta l'aggiunta tattica di un bel pò di motorik, succhiata a forza dal sancta sanctorum Kraut Rock (la sacra triade Can/Ash Ra Tempel/Neu! per capirci meglio), per detonare in un crescendo apocalittico che di nome fa "Here We Are" e che, guarda caso, è anche la chiusa precisa di un lavoro quadrato dal primo secondo all'ultimo.
E' così che la band di Alessio Gastaldello, scultore principale dell'Italian Occult Psychedelia con i Jennifer Gentle, cesella con classe e carisma il prestigioso debutto per la Rocket Recordings. Manifestando inizialmente insofferenza verso certi confini ortodossi del concetto "Musica"che pian piano vengono soggiogati dall'orchestrazione perfetta di tutto il patrimonio sonico disponibile.
"Fear On The Corner" è ovviamente questo e molto, molto di più.
Indescrivibile a parole, ma perfettamente interpretabile ad occhi chiusi e con l'anima in fiamme. Schizofrenico nel suo girovagare tra rovine esistenziali che sporcano di sangue testi cupi e fatalisti,  senza mai appesantire le atmosfere oniriche e pulsanti a cornice.
E poi?
E poi ci sono sette canzoni che sembrano appartenere a galassie parallele, sette viaggi immaginifici, sette dimostrazioni di magia compositiva.
Sette il numero esoterico per eccellenza.
"Fear The Corner" finisce così, senza fatica nè stanchezza, in una cavalcata gloriosa al netto di qualsiasi Paura.






Davide Monteverdi


mercoledì 11 aprile 2018

KING TUFF: "THE OTHER" (Sub Pop, 2018)


Uscirà a giorni "The Other" il nuovo lavoro sulla lunga distanza di King Tuff aka Kyle Thomas, anticipato su Youtube dai video in heavy rotation di "The Other", "Psycho Star" e "Raindrop Blue", a quattro anni dal precedente "Black Moon Spell".
Ci sono un pò di cose da annotare al volo: Kyle per portare a termine l'operazione "The Other" con successo prima si circonda di vecchi amici dagli obliqui gusti musicali come Mikal Cronin, Ty Segall e Jenny Lewis (ex Rilo Kiley), quindi si produce tutto da solo l'album per poi farlo mixare da quel maghetto di Shawn Everett già al lavoro con i War On Drugs.
La risultante sono dieci tracce camaleontiche per cui ogni tentativo di classificazione sonora risulta banale e mai pienamente centrata.
C'è sì dell'introspezione con sfumature malinconiche nei testi, ma le composizioni, come gli arrangiamenti, rimangono scintillanti e giostrati con tatto, apparendo fin da subito meno slabbrati rispetto ai lavori precedenti. Vale a dire che l'espressività creativa di King Tuff è geneticamente mutata nel tempo, evolvendosi verso un linguaggio più pieno, maturo e definito.
Troviamo meno cavalcate chitarristiche dal piglio "garage punk" ad imbizzarrire le tracce, mentre synth e tastiere, con cui poi esplorare lidi altri nei dintorni lisergici contemporanei, fanno un passo in avanti tratteggiando curiosi orizzonti policromi. E tutto questa architettura parrebbe proprio in odore di Ty Segall, già alle prese col suo ultimo progetto/totem Freedom's Goblin nei medesimi, o quasi, percorsi stilistici.
L'ascolto di "The Other" scorre piacevole e senza rallentamenti, anzi l'attenzione
aumenta canzone dopo canzone denotando la grande capacità di Kyle Thomas di coinvolgere emotivamente anche l'ascoltatore più restio.
"Raindrop Blue", "Psycho Star", "Birds Of Paradise" e "Neverending Sunshine" sono meravigliosamente in bilico tra Prog, Psichedelia e Glam Rock e probabilmente i numeri migliori dell'album, almeno per il sottoscritto!
Ottimo.









Davide Monteverdi


martedì 27 marzo 2018

Albert Hammond Jr: "Francis Trouble" (Red Bull Rec, 2018)


Il 4° album solista di Albert Hammond Jr mi piace molto.
Ascolto dopo ascolto.
E' ben suonato, ben ideato, con sonorità fresche ed immediate che pescano dal repertorio di riferimento senza far gridare nessuno allo scandalo: ci sono i Beatles, Miles Kane, gli Strokes (che strano eh??!!) più sbarazzini, Ty Segall e qualche palleggio in area Arctic Monkeys.
Ma la sommatoria funziona e funziona dannatamente bene.
In bilico tra melodia e dissonanza, malinconia e gioia, condivisione ed introspezione.
Quasi 36 minuti per 10 tracce ondivaghe e soddisfacenti che si possono succhiare come chewing gum alla frutta senza controindicazioni particolari.
Nonostante il presupposto dell'album prenda l'abbrivio dalla scomparsa, ancor prima della nascita, del fratello gemello Francis, Albert Jr frequenta i temi della scomparsa, dell'amore fraterno, e tutti i discorsi sui massimi sistemi esistenziali con una gioiosa ironia di fondo che si riflette, com'è ovvio, nella composizione.
Insomma un'attitudine positiva che si percepisce in crescendo con lo scorrere di "Francis Trouble", spesso on repeat, e che trasforma agilmente il mood dell'album da possibile (e inutile) epitaffio in (elegante) tributo eroico, in gesto d'amore incondizionato e inestimabile.
Ne risulta così una sorta di processo catartico in cui la riconciliazione con la vita passata e presente sfila con naturalezza, al netto di pesanti cavilli emotivi.
"Francis Trouble" non è il nuovo album degli Strokes!
E' un buon album di musica alternativa contemporanea dove il cuore pulsa e il sangue pompa nella giusta e doverosa direzione, costruendo e non demolendo, disegnato con la consapevolezza di chi mastica musica a livelli planetari da almeno 3 lustri.
Ascoltate "ScreaMEr" e "Harder Harder Harder" a volume 100 e capirete tutto!






Davide Monteverdi.



giovedì 15 marzo 2018

La Primavera Si Veste Di Nero @ Fico (Cr) 22/3/2018.



                                 La Primavera Si Veste Di Nero evento su FB 


                                 Deejay Dave

         
                                 La Primavera Playlist su SPOTIFY


ATTENZIONE è UNA FESTA ANNI '80!!!!
†SOTTOTITOLO:
MUSICA TRISTE PER TIZI LOSCHI.
†LA MUSICA:
DARK, NEW WAVE, EBM, NEW ROMANTIC, POST PUNK, SYNTH POP, EXOTERIC VIBES, SHOEGAZE.
†PRESUPPOSTI:
IRONIA IRONIA IRONIA. NON è UN PARTY SERIO.
†INPUT:
VESTITI DI NERO. COTONATI I CAPELLI. TRUCCATI. DIVENTA IL PERSONAGGIO PRINCIPALE DEL NOSTRO INCUBO METROPOLITANO.
†SUONI:
Killing Joke, Smiths, Cure, Depeche Mode, Litfiba, Neon, Diaframma, Artery, Bauhaus, Joy Division, Ministry, Cabaret Voltaire, Talk Talk, Fad Gadget, Yazoo, Soft Cell, CCCP, Christian Death, Sisters Of Mercy, Duran Duran, Spandau Ballet, Human League, Heaven 17, Dead Can Dance, Sad Lovers & The Giant, Gaznevada, Simple Mind, Psychedelic Furs, Stranglers, Certain general, Wall Of Voodoo, B52's, Devo, Einsturzende Neubauten, Nick Cave, Polyrock, Garbo, DAF, Front 242, Talking Heads, Roxy Music, Cocteau Twins, PIL, Teardrop Explodes, Scars, Birthday Party, Diana Est, New Order, She Wants Revenge, Bowie, House Of Love, ULTRAVOX, Cars, Gary Numan, Japan, Modern English, London After Midnight, NIN, XX, Interpol, Killers, Siouxsie, Adam Ant, Organ, Pretty Girls Make Graves, Bush Tetras, Slits, Durutti Column, Magazine, Fall, Felt, Esg, 23 Skidoo, Delta 5, ACR, Section 25, Morrissey, Klinik, A PLACE TO BURY STRANGERS, My Bloody Valentine, J&MC, Danse Society, Play Dead, Skinny Puppy, The The, Chameleons, Cult, Medium Medium, Belfegore, Corpus Delicti, Alien Sex Fiend, X Mal Deutschland, Screaming Dead, Fields Of The Nephilim, Lene Lovich, Nina hagen, Cris & Cosey, March Violets, China Crisis, Red Lorry Yellow Lorry, Malaria, Grauzone, Tones On Tail, Agrimensor K, VIRGIN PRUNES, U2, Pankow, Clan Of Xymox, Wire, Au Pairs, OMD, A Flock Of Seagulls, Names, Associates, VISAGE, Siglo XX, Chrome, Lucy Show, Godfathers, FEELIES, Flying Lizards, XTC, Skeletal Family, Minny Pops, ECHO & THE BUNNYMEN & moooooore moooooooore mooooooooore.

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martedì 6 febbraio 2018

The Strange Flowers: "Best Things Are Yet To Come" (Area Pirata, 2 x Cd, 2017)



Inutile dilungarmi cercando giri di parole alla ricerca della recensione perfetta: questa compila è una vera BOMBA.
Eccoli dunque gli Strange Flowers da Pisa che, allo scoccare del 30° anno di attività, festeggiano con un doppio cd e 30 tracce da volare letteralmente via.
Il meglio è già arrivato a quanto sembra nonostante il titolo di questo psichedelico tributo che annovera, per completezza, ben 5 inediti (3 registrati per l'occasione) e nuovi mixaggi e produzioni, spaziando tra tutti i 7 album all'attivo della band di Michele Marinò (voce e chitarra) unico perno inamovibile fin dagli esordi del 1987.
Marinò che per l'occasione si è prontamente riunito ai compagni della prima line up per coronare, con invidiabile dovizia di particolari, una carriera spesa tra alti (molti) e bassi (davvero pochi) sia qualitativi che quantitativi.
Parafrasando infatti la presentazione nell'esaustivo booklet, zeppo di fotografie inedite, "gli Strange Flowers sono il combo che ha spesso flirtato col successo senza mai afferrarlo" e questa sfiga ancestrale, a mio avviso, è stata la loro "fortuna" perchè li ha consegnati di fatto al mito della musica indie italica.
Rendendosi allo stesso tempo canonizzatori e pregiati interpreti, in maniera più articolata di altri artisti contemporanei e conterranei, della neopsichedelia tricolore: assolutamente unica nel coniugare il sound di importazione, tanto inglese quanto americano, con le sfumature lisergiche locali.
Insomma, un pò Beatles, un Pò Syd Barrett, un pò Cream, un pò Byrds tanto per capirci qualcosa. Con quel mix di genuinità in più che rende ogni canzone di un altro livello compositivo, costringendoci anche all'impossibilità di scegliere una traccia piuttosto di un'altra nel lettore cd.
Insomma applausi agli Strange Flowers e applausi ad Area Pirata per la sua monumentale opera di divulgazione sonora, perchè la buona musica (si spera) non morirà mai.
Qualunque essa sia!








Davide Monteverdi