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martedì 6 aprile 2021

TV Priest: "Uppers" (Sub Pop, Cd 2021).


La storia sta così e la trovate ampiamente sviscerata un pò ovunque: quattro amici (più uno che poi finirà altrove) decidono di mettere a frutto la propria creatività in un periodo della vita - la giovinezza -  florido di promesse e scevro di fallimenti annunciati, formano una band che si chiama Torches grazie alla quale si divertono, suonano in giro, bevono, rimorchiamo e si inebriano di futuro e ribellione. Com'è poi nella natura dell'età spensierata il tempo viaggia a velocità siderale così come gli affanni, i sogni, le fascinazioni e la quotidianità, dominati dall'inquietudine ormonale. La band si scioglie all'improvviso senza particolari sussulti, e ognuno di loro intraprende il percorso di esperienze che lo porterà inevitabilmente a perdersi di vista con il nucleo originario.
Ma si sa, la musica - come l'amore - segue dinamiche a noi misteriose, avvalendosi di energie che spesso interagiscono col fine di ricreare l'armonia primigenia, ovvero - in soldoni - ricondurre gli stessi quattro amici al punto di partenza della storia, ma con il plus non indifferente della conquistata maturità.
Da qui a ritrovarsi in studio è un attimo, di quelli magici e - con ogni probabilità - irripetibili.
Le rispettive ruggini si dissolvono nella memoria di automatismi rodati, l'entusiasmo è anfetamina a prezzo di costo, le canzoni convincono e l'attitudine suggella il tutto. 
Alla fine l'idea di dare nuova linfa al vecchio gruppo, e immaginarselo sul palco, non pare più così bizzarra.
C'è giusto il tempo di cambiare il nome in TV Priest e volare a Seattle per firmare il prestigioso - quanto epocale - contratto con la Sub Pop, prima di andare a divorarsi il mondo.
In agenda spicca il primo concerto di rodaggio in patria (per una platea di fan e amici ancora risicata nei numeri) ma che fatalmente siglerà la loro unica - e ultima - esibizione fino a data da destinarsi.
Una legnata, il Covid, che cristallizza tutto e tutti ma non il quartetto londinese, capace di sublimare l'immane sfiga nell'opportunità della vita: utilizzare il tempo immobile per chiudere la pratica "Uppers" e dedicarsi in toto alla sua promozione virtuale, comodamente dal soggiorno di casa o quasi.
Minima spesa, massima resa.
Il sogno si concretizza finalmente all'inizio di questo Febbraio quando la label licenzia l'album su scala planetaria, così che a due mesi di distanza dall'uscita possiamo valutarne meglio il punto di caduta, al di là del buzz giornalistico e copie promo.
"Uppers" non rappresenta solo il frutto della dedizione assoluta di Charlie Drinkwater & Co ai tempi della Pandemia, ma anche l'ultima produzione - in termini temporali - della "nuova" onda Post Punk che da qualche anno, ormai, sbraccia sul mercato discografico da entrambe le sponde dell'Atlantico: Idles, Shame, Fontaines D.C. (l'artwork del loro ultimo album è appunto opera di Charlie che nella vita fa l'art director) per il Regno Unito, Protomartyr e Bambara dalla parte statunitense.
Le suggestioni dei quali vengono facili da rintracciare nelle dodici canzoni in scaletta, dove "nuovo" e "meno nuovo" (Fall, Editors, Gang Of Four, Bloc Party, Joy Division) convivono amabilmente, creando un ecosistema sonoro al tempo stesso sostenibile e dissonante, come il genere suggerisce.
Il che se dal punto di vista stilistico dimostra coerenza e pragmatismo, da quello del mero ascolto musicale non aggiunge nulla - o quasi - a ciò che già conosciamo e apprezziamo del filone in chiaroscuro.
La voce carismatica di Charlie, posseduta a sprazzi dallo spirito declamatorio di Mark E. Smith, è l'architrave attorno a cui ruota tutto il resto: la sessione ritmica serrata e marziale - con punteggiatura motorik - di Nic Bueth (basso e synth) ed Ed Kelland (batteria), i fraseggi al vetriolo di Alex Sprogis (chitarra) e, soprattutto, le liriche tese e affilate che il frontman plasma per annichilire l'establishment e scandagliare il vissuto personale.
"Saintless", posta in chiusura di sessione, configura con nettezza la summa espressiva dei TV Priest, sintetizzandone allo stato dell'arte la personalità multisfaccettata.
La lunga e sofferta cavalcata intimista, giostrata su un crescendo sonico di rara intensità, vale infatti da sola l'acquisto dell'intero album, oltre a essere la mia traccia preferita, imponendosi di misura su una manciata di altre quasi altrettanto magiche.
Nonostante l'hype revivalistico, e il "già sentito" ampiamente metabolizzato da noi fruitori scafati, "Uppers" si merita come minimo il "piazzamento" sul podio tra le ultime produzioni della (cosiddetta) bolla post post-punk, grazie al buon equilibrio delle sue proporzioni: è solido, profondo, organico, ordinato, convincente, sincero.
Ora attendiamoli dal vivo.
Buon ascolto! 

Ascolta: "The Big Curve", "Journal Of A Plague Year", "Slideshow", "This Island", "Saintless".










Davide Monteverdi.
 

giovedì 23 aprile 2020

The Homesick: "The Big Exercise" (Sub Pop, Cd 2020).


Gli Homesick sono formalmente un trio - alla bisogna si aggregano altri musicisti per completare il suono della band - olandese messo sotto contratto nientemeno che dalla Sub Pop la quale, come più volte articolato in passato, ha sviluppato un fiuto infallibile nell'arricchire e diversificare il proprio catalogo, aprendo a soluzioni musicali talvolta eterodosse, ma pregevoli sotto molti punti di vista.
Rientrano in questa categoria i kids di Dokkum che con "The Big Exercise" confezionano un esordio per la label di Seattle che è un pò la sorpresa - in positivo - dei primi mesi dell'anno.
Reduci da un primo album "Youth Hunt" ( per la indie label Subroutine) che già diceva parecchio del loro manifesto estetico seppur declinato in maniera acerba e con focus ondivago, in questo nuovo lavoro di studio si superano alla grande.
In meno di 3 anni sono infatti riusciti a compattare suoni e idee, a renderli organici e fruibili, secondo un'interpretazione molto personale del concetto di musica "Pop", che dovrebbe essere in primis veicolo di Bellezza condivisa senza necessariamente scendere a patti con i trend del momento.
In " The Big Exercise" c'è tutta questa tensione artistica e ideale, la si avverte sulla pelle, canzone dopo canzone, in un esplosione policroma dall'impatto devastante.
Merito della produzione accurata e matura, certo, ma anche - e soprattutto - della conflagrazione di mille coordinate sonore che contribuiscono a rendere magico il prodotto finale, super divertente da ascoltare a ripetizione e di difficile catalogazione "atmosferica".
In " The Big Exercise" resiste la scia post punk/wave, si odorano rarefatti effluvi prog e psichedelici, i tentativi art pop vanno a buon fine così come le impennate chitarristiche, e il melange che ne scaturisce profuma di sole, campi in fiore e amore libero.
Animal Collective, Scott Walker, King Gizzard, Field Music, Beatles, XTC, Monochrome Set, Josef K, Ariel Pink - tra i tanti - sono gli astri luminosi della galassia sonora e compositiva che gli Homesick frequentano con dimestichezza, o almeno così scrivono quelli che di musica ne sanno a pacchi.
"The Big Exercise" è una raccolta di canzoni davvero molto affascinante e con il potere di cambiare il senso di una giornata qualsiasi, per questo merita almeno un ascolto e possibilmente l'acquisto immediato.
Bravi!

Ascolta: "Children's Day", "I Celebrate My Fantasy", "Focus On The Beach", "Male Bonding".






Davide Monteverdi.


martedì 17 marzo 2020

MOANING: "UNEASY LAUGHTER" (Sub Pop, 2020).


Una Risata Complicata spiegata dalla band che di nome fa Gemendo potrebbe rivelarsi l'incipit perfetto per queste giornate di quarantena dominate dallo spettro del virus.
Infatti non potrebbe nascere una colonna sonora migliore di questa ai tempi della Pandemia, che ha scollegato tutto il fuori per ricablarci dentro, ma al quadrato. Dentro alla nostra quotidianità aumentata, dentro le quattro mura che ci hanno accolto quasi sempre di passaggio, dentro al silenzio introspettivo finalmente senza rumori di fondo. Intenti per una volta ad ascoltare, a capire, ad immaginare quello che era il Prima e che dopo, probabilmente, non sarà più.
I Moaning tagliano il traguardo per primi in questo Marzo 2020 sfigatissimo, imprevisto ed imprevedibile.
Lo fanno spargendo spleen a rullo sui testi - che a sto giro virano sempre più verso una dimensione intimista - cauterizzando ogni tentativo di autoreferenzialità e distillando suoni che ondeggiano malinconici e possibilisti tra Editors e Sound, New Wave e Shoegaze, rincorse e pause splendenti, saturi di sintetizzatori e bassi rotondi alle porte della primavera ufficiale.
Si riaffaccia così alla musica il trio di Los Angeles, guidato dal poliedrico cantante/chitarrista Sean Solomon, con il secondo album "Uneasy Laughter" - in uscita il 20 Marzo - licenziato ancora una volta dalla Sub Pop, label altrettanto flessibile e diversificata nella costruzione del proprio catalogo.
Evolve però il mood generale rispetto all'omonimo esordio del 2018 dettato, con ogni probabilità, dall'anno di sobrietà che Solomon stesso rivendica fortemente ovunque sia possibile e a cui la band paga pegno su due fronti: da una parte la maggiore lucidità compositiva, dall'altra l'attitudine positiva nel relazionarsi emotivamente con gli ascoltatori. Le chitarre finalmente trovano un ordine democratico disegnando trame efficaci che vengono cesellate al volo dalle pelli di Andrew MacKelvie e dalle tastiere gommose - e onnipresenti - di Pascal Stevenson. Queste sì vera e propria chiave di volta - in concorso con le linee vocali di Solomon - nel capitalizzare al massimo il rinnovato manifesto sonico della band.
"Uneasy Laughter" e le sue 13 tracce - in realtà non tutte necessarie a dare un senso al nostro tempo lento e dilatato - si fanno ascoltare con generosità perchè si allontanano, entro ragionevoli margini di sicurezza, dai reflui del Passato per abbracciare un sentimento Pop che ne esalta il bouquet espressivo. Attenta anche la produzione di Alex Newport (Melvins, Bloc Party, At The Drive In) a bilanciare ogni sfumatura,  a dare forma compiuta alle canzoni dei Moaning che escono rinvigoriti dal lavoro di studio.
Un impatto che soddisfa tutte le parti in causa, dunque, e che lascia intuire un futuro prossimo in continua evoluzione.



Ascolta: "Running", "Coincidence Or Fate", "Keep Out".  





Davide Monteverdi.


martedì 9 luglio 2019

VERSING: "10000" (Hardly Art, 2019)


"10000" è il nuovo, secondo, lavoro di studio per il quartetto di Seattle guidato dal carismatico cantante e chitarrista Daniel Salas, che con le sue 13 tracce ci conduce per mano in un passato recente e glorioso. Quegli anni 90 che hanno marchiato a fuoco almeno un paio di generazioni turbolente di teenagers, in un saliscendi schizofrenico tra melodie e rumore, ordine e caos, autodistruzione e catarsi.
Tutti i riferimenti sonori di questo album prendono ossigeno, di fatto, dall'epopea alternative rock di quel decennio, rimodulati però secondo un linguaggio corrente (seppur rispettoso delle tradizioni) declinabile con la sensibilità delle nuove generazioni di ascoltatori.
Le tracce di "10000" scorrono bene dall'inizio alla fine, abbandonando nelle sinapsi schegge elettriche di Pavement, Dinosaur Jr, Sonic Youth e tutta quella roba lì college rock a stelle e strisce, con in più una strizzatina d'occhio alla coeva scena shoegaze psichedelica inglese.
Insomma nulla di nuovo sotto il sole dell'indie sound (tantomeno dalla rigogliosa Seattle), ma "10000" è un album che si fa ascoltare con rinnovata curiosità: di sicuro non impatterà sul corso della storia, ma può ambire a guadagnarsi lo status di gioiellino incompreso all'interno della scena.


Ascolta: "Entryism", "Tethered", "By Design", "In Mind", "Sated".



Davide Monteverdi.


giovedì 30 maggio 2019

The Gotobeds: "Debt Begins At 30" (Sub Pop, 2019).


Finalmente ci siamo.
Esce tra poche ore "Debt Begins At 30" il terzo album dei Gotobeds, il secondo licenziato dalla Sub Pop di Seattle per essere precisi.
Il quartetto (fieramente) di Pittsburgh, guidato dal cantante/chitarrista Eli Kasan, in questo nuovo lavoro di studio disegna 11 tracce poderose e ben strutturate, dove le istanze post punk incrociano la crema delle sonorità alternative rock di almeno due decenni
Ognuna di esse poi nasce e si sviluppa come collaborazione "naturale" e inclusiva con alcuni dei nomi più interessanti di quel panorama musicale, pescando sia dal presente che dal passato: da Bob Weston (Shellac/Mission Of Burma) a Victoria Ruiz (Downtown Boys), passando per Bob Nastanovich (Pavement) fino all'accoppiata Joe Casey/Greg Ahee (Protomartyr), solo per nominare quelli maggiormente conosciuti e condivisi.
Insomma "Debt Begins At 30" si dimostra un progetto ben ponderato, strutturato perchè il risultato finale sia vincente sotto tutti i punti di vista e dove la sommatoria supera magicamente l'insieme dei singoli addendi.
I Gotobeds, infatti, hanno l'innata capacità di pompare atmosfera nelle loro composizioni, sfruttando il valore aggiunto dei guest senza esserne cannibalizzati, grazie al mix intelligente del vocabolario espressivo dei primi e di una propria personalità creativa giunta a maturazione.
I Gotobeds sono e suonano così.
Con grande libertà, leggerezza e raggio d'azione pressochè illimitato: saltano da un genere all'altro con disinvoltura alternando passaggi urticanti a melodie senza tempo.
Bravi!



Ascolta: Slang Words, Poor People Are Revolting, Debt Begins At 30, Dross, Bleached Midnight.





Davide Monteverdi

martedì 14 agosto 2018

DEAF WISH: "LITHIUM ZION" (Sub Pop, 2018).


I Deaf Wish sono un quartetto piuttosto rumoroso e irrequieto che proviene da Melbourne, Australia, città che può vantare grandi tradizioni in un certo ambito rock, quello più claustrofobico e chiaroscurale, dove a vario titolo hanno sguazzato per anni tizi come Birthday Party, Foetus, Ikon, Lisa Gerrard e Bad Seeds tanto per citare quelli che ce l'hanno fatto a vedere la luce.
"Lithium Zion" è il quinto lavoro in studio della band, il secondo per la Sub Pop, ed è magnificamente disturbante durante i suoi 40 minuti di perlustrazione incessante dell'imbrunire, grazie alla meticolosa bravura nel fotografare squarci di vita aliena urticanti e compressi fino al fastidio fisico. E' un mix compatto di noise rock, new wave, shoegaze, indie rock (e chi più ne ha più ne metta) che sottolinea alla perfezione le linee vocali della leader Sarah Hardiman e della band in generale che si alterna al microfono con risultati davvero interessanti.
Insomma 11 pezzoni (quasi tutti) poderosi che ricalcano sì tematiche già ampiamente sentite, ma che ritoccate qua e là con piglio adrenalinico e ispirato vivono di vita propria: ci senti dentro l'eco di Fall, Siouxsie & The Banshees, Dinosaur Jr, Sonic Youth e mezzo catalogo Sub Pop/SST. I kids però  viaggiano veloci e lontani con le melodie che possono permettersi e lo fanno bene, strizzando al minimo sindacali le concessioni "pop" e dando il La ad un'idea personale e ben rifinita in ogni dettaglio.
"FFS", "Lithium Zion", "Birthday", "Smoke" sono vere e proprie leccornie novembrine in anticipo sui tempi, "OX" e "Deep Blue Cheated" stanno lì ad un'incollatura in questo affresco sonoro che è una delle vere sorprese dell'estate 2018.
Interessante!







Davide Monteverdi

giovedì 15 marzo 2018

La Primavera Si Veste Di Nero @ Fico (Cr) 22/3/2018.



                                 La Primavera Si Veste Di Nero evento su FB 


                                 Deejay Dave

         
                                 La Primavera Playlist su SPOTIFY


ATTENZIONE è UNA FESTA ANNI '80!!!!
†SOTTOTITOLO:
MUSICA TRISTE PER TIZI LOSCHI.
†LA MUSICA:
DARK, NEW WAVE, EBM, NEW ROMANTIC, POST PUNK, SYNTH POP, EXOTERIC VIBES, SHOEGAZE.
†PRESUPPOSTI:
IRONIA IRONIA IRONIA. NON è UN PARTY SERIO.
†INPUT:
VESTITI DI NERO. COTONATI I CAPELLI. TRUCCATI. DIVENTA IL PERSONAGGIO PRINCIPALE DEL NOSTRO INCUBO METROPOLITANO.
†SUONI:
Killing Joke, Smiths, Cure, Depeche Mode, Litfiba, Neon, Diaframma, Artery, Bauhaus, Joy Division, Ministry, Cabaret Voltaire, Talk Talk, Fad Gadget, Yazoo, Soft Cell, CCCP, Christian Death, Sisters Of Mercy, Duran Duran, Spandau Ballet, Human League, Heaven 17, Dead Can Dance, Sad Lovers & The Giant, Gaznevada, Simple Mind, Psychedelic Furs, Stranglers, Certain general, Wall Of Voodoo, B52's, Devo, Einsturzende Neubauten, Nick Cave, Polyrock, Garbo, DAF, Front 242, Talking Heads, Roxy Music, Cocteau Twins, PIL, Teardrop Explodes, Scars, Birthday Party, Diana Est, New Order, She Wants Revenge, Bowie, House Of Love, ULTRAVOX, Cars, Gary Numan, Japan, Modern English, London After Midnight, NIN, XX, Interpol, Killers, Siouxsie, Adam Ant, Organ, Pretty Girls Make Graves, Bush Tetras, Slits, Durutti Column, Magazine, Fall, Felt, Esg, 23 Skidoo, Delta 5, ACR, Section 25, Morrissey, Klinik, A PLACE TO BURY STRANGERS, My Bloody Valentine, J&MC, Danse Society, Play Dead, Skinny Puppy, The The, Chameleons, Cult, Medium Medium, Belfegore, Corpus Delicti, Alien Sex Fiend, X Mal Deutschland, Screaming Dead, Fields Of The Nephilim, Lene Lovich, Nina hagen, Cris & Cosey, March Violets, China Crisis, Red Lorry Yellow Lorry, Malaria, Grauzone, Tones On Tail, Agrimensor K, VIRGIN PRUNES, U2, Pankow, Clan Of Xymox, Wire, Au Pairs, OMD, A Flock Of Seagulls, Names, Associates, VISAGE, Siglo XX, Chrome, Lucy Show, Godfathers, FEELIES, Flying Lizards, XTC, Skeletal Family, Minny Pops, ECHO & THE BUNNYMEN & moooooore moooooooore mooooooooore.

                                                      FREE ENTRY

venerdì 29 dicembre 2017

Playlist Ascolti 2017

Ecco la mia Playlist 2017. L'ordine è casuale, l'ascolto parziale perchè davvero non ce l'ho fatta ad ascoltare tutto quello che è uscito e molte cose mi saranno sfuggite. Insomma, oggi va così, spero vi piaccia!

Red Axes: The Beach Goths
Queens Of The Stone Age: Villains
Peter Perrett: How The West Was Want
New Candys: Bleeding Magenta
Ninos Du Brasil: Vida Eterna
James Holden & The Animal Spirits: The Animal Spirit
Funkadelic: Reworked By Detroiters
Algiers: The Underside Of Power
Curtis Harding: Face Your Fear
Dream Machine: Illusion
King Gizzard: Flying Microtonal Banana
King Gizzard: Sketches Of Brunswick East
King Gizzard: Polygondwanaland
Protomartyr: Relatives In Descent
Heliocentrics: A World Of Masks
Dream Syndicate: How Did I Find Myself Here?
Rolling Blackouts C.F.: The French Press Ep
Feelies: In Between
Chicano Batman: Freedom Is Free
Jesus & Mary Chain: Damage & Joy
Fujiya & Miyagi: S/T
Tamikrest: Kidal
Surfer Blood: Snowdonia
Foxygen: Hang
Ty Segall: Self Titled
Black Angels: Death Song
Julie’s Haircut: Invocation And Ritual Dance Of My Demon Twin
!!!: Shake The Shudder
Downtown Boys: Cost Of Living
Iron & Wine: Beast Epic
Talaboman: The Night Land
Motorpsycho: The Tower
Second Still: S/T
Sharon Jones & The Dap-Kings: Soul Of A Woman
Shilpa Ray: Door Girl
Afous D’Afoous: Tenere
Mythic Sunship: Land Between Rivers
No Strange: Il Sentiero Della Tartaruga

Davide Monteverdi

venerdì 13 ottobre 2017

SUB POP PACK REVUE #01


I Downtown Boys sono una vera bomba ad orologeria.
O meglio il loro "Cost Of Living" deflagra già dall'intro di "A Wall" e così via per tutte le tracce di questo primo lavoro marchiato Sub Pop.
Cantate, urlate, scagliate in your face una per una dalla poderosa voce di Victoria Ruiz.
Sorta di avanguardia sonica e iperpoliticizzata del quintetto di Providence capitanato dal polistrumentista Joey LaNeve DeFrancesco.
Produce e mixa Guy Picciotto e per me potremmo chiudere anche qui.
L'ex Fugazi infatti dona rotondità ed ordine all'impellenza della musica, disegnandola perfettamente intorno alle liriche di pura protesta sociopolitica, trasformando il caos in un ordinato manifesto di sopravvivenza urbano e contemporaneo.
Non facilissimo al primo ascolto "Coast Of Living", poi via via godibile e penetrante fin nei recessi dell'anima.
Insomma un pò Fucked Up, un pò X Ray Spex, un pò Fugazi.
E quando entra il sax di Joe DeGeorge tutto acquista definizione e spessore artistico.
35 minuti scarsi di schiaffi in faccia ben piazzati.






La Sub Pop non sbaglia un colpo nella pianificazione delle sue uscite discografiche ed anche per il 3° lavoro dei Metz riceviamo da Seattle l'ennesima conferma: il sodalizio con il power trio di base a Toronto continua il suo percorso creativo all'insegna della schizofrenia musicale più imprevedibile, e alla faccia di qualsiasi mercato orientato al fighettismo.
I Metz pestano sì come fabbri, ma si rivelano professionisti scafati nel fondere istanze post tutto: post punk, post hardcore, post wave.
Difficili eppure immediati nel loro impasto di liriche e rumore, rivendicazioni e iconoclastia.
Se all'equazione basica aggiungete poi la variabile impazzita al mixer, e che di nome fa Steve Albini, il messaggio arriverà ancora più forte e chiaro, "Strange Peace" è un'arma da maneggiare con prudenza.
Un muro granitico i cui 11 monoliti sono assemblati con grande sagacia e maturità.
Tra Wire, Jesus Lizard, Shellac, Gun Club e pochi altri in un continuum spazio/tempo che  affascina e disturba in ugual misura.







Davide Monteverdi.