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martedì 17 marzo 2020

MOANING: "UNEASY LAUGHTER" (Sub Pop, 2020).


Una Risata Complicata spiegata dalla band che di nome fa Gemendo potrebbe rivelarsi l'incipit perfetto per queste giornate di quarantena dominate dallo spettro del virus.
Infatti non potrebbe nascere una colonna sonora migliore di questa ai tempi della Pandemia, che ha scollegato tutto il fuori per ricablarci dentro, ma al quadrato. Dentro alla nostra quotidianità aumentata, dentro le quattro mura che ci hanno accolto quasi sempre di passaggio, dentro al silenzio introspettivo finalmente senza rumori di fondo. Intenti per una volta ad ascoltare, a capire, ad immaginare quello che era il Prima e che dopo, probabilmente, non sarà più.
I Moaning tagliano il traguardo per primi in questo Marzo 2020 sfigatissimo, imprevisto ed imprevedibile.
Lo fanno spargendo spleen a rullo sui testi - che a sto giro virano sempre più verso una dimensione intimista - cauterizzando ogni tentativo di autoreferenzialità e distillando suoni che ondeggiano malinconici e possibilisti tra Editors e Sound, New Wave e Shoegaze, rincorse e pause splendenti, saturi di sintetizzatori e bassi rotondi alle porte della primavera ufficiale.
Si riaffaccia così alla musica il trio di Los Angeles, guidato dal poliedrico cantante/chitarrista Sean Solomon, con il secondo album "Uneasy Laughter" - in uscita il 20 Marzo - licenziato ancora una volta dalla Sub Pop, label altrettanto flessibile e diversificata nella costruzione del proprio catalogo.
Evolve però il mood generale rispetto all'omonimo esordio del 2018 dettato, con ogni probabilità, dall'anno di sobrietà che Solomon stesso rivendica fortemente ovunque sia possibile e a cui la band paga pegno su due fronti: da una parte la maggiore lucidità compositiva, dall'altra l'attitudine positiva nel relazionarsi emotivamente con gli ascoltatori. Le chitarre finalmente trovano un ordine democratico disegnando trame efficaci che vengono cesellate al volo dalle pelli di Andrew MacKelvie e dalle tastiere gommose - e onnipresenti - di Pascal Stevenson. Queste sì vera e propria chiave di volta - in concorso con le linee vocali di Solomon - nel capitalizzare al massimo il rinnovato manifesto sonico della band.
"Uneasy Laughter" e le sue 13 tracce - in realtà non tutte necessarie a dare un senso al nostro tempo lento e dilatato - si fanno ascoltare con generosità perchè si allontanano, entro ragionevoli margini di sicurezza, dai reflui del Passato per abbracciare un sentimento Pop che ne esalta il bouquet espressivo. Attenta anche la produzione di Alex Newport (Melvins, Bloc Party, At The Drive In) a bilanciare ogni sfumatura,  a dare forma compiuta alle canzoni dei Moaning che escono rinvigoriti dal lavoro di studio.
Un impatto che soddisfa tutte le parti in causa, dunque, e che lascia intuire un futuro prossimo in continua evoluzione.



Ascolta: "Running", "Coincidence Or Fate", "Keep Out".  





Davide Monteverdi.


martedì 9 luglio 2019

VERSING: "10000" (Hardly Art, 2019)


"10000" è il nuovo, secondo, lavoro di studio per il quartetto di Seattle guidato dal carismatico cantante e chitarrista Daniel Salas, che con le sue 13 tracce ci conduce per mano in un passato recente e glorioso. Quegli anni 90 che hanno marchiato a fuoco almeno un paio di generazioni turbolente di teenagers, in un saliscendi schizofrenico tra melodie e rumore, ordine e caos, autodistruzione e catarsi.
Tutti i riferimenti sonori di questo album prendono ossigeno, di fatto, dall'epopea alternative rock di quel decennio, rimodulati però secondo un linguaggio corrente (seppur rispettoso delle tradizioni) declinabile con la sensibilità delle nuove generazioni di ascoltatori.
Le tracce di "10000" scorrono bene dall'inizio alla fine, abbandonando nelle sinapsi schegge elettriche di Pavement, Dinosaur Jr, Sonic Youth e tutta quella roba lì college rock a stelle e strisce, con in più una strizzatina d'occhio alla coeva scena shoegaze psichedelica inglese.
Insomma nulla di nuovo sotto il sole dell'indie sound (tantomeno dalla rigogliosa Seattle), ma "10000" è un album che si fa ascoltare con rinnovata curiosità: di sicuro non impatterà sul corso della storia, ma può ambire a guadagnarsi lo status di gioiellino incompreso all'interno della scena.


Ascolta: "Entryism", "Tethered", "By Design", "In Mind", "Sated".



Davide Monteverdi.


giovedì 30 maggio 2019

The Gotobeds: "Debt Begins At 30" (Sub Pop, 2019).


Finalmente ci siamo.
Esce tra poche ore "Debt Begins At 30" il terzo album dei Gotobeds, il secondo licenziato dalla Sub Pop di Seattle per essere precisi.
Il quartetto (fieramente) di Pittsburgh, guidato dal cantante/chitarrista Eli Kasan, in questo nuovo lavoro di studio disegna 11 tracce poderose e ben strutturate, dove le istanze post punk incrociano la crema delle sonorità alternative rock di almeno due decenni
Ognuna di esse poi nasce e si sviluppa come collaborazione "naturale" e inclusiva con alcuni dei nomi più interessanti di quel panorama musicale, pescando sia dal presente che dal passato: da Bob Weston (Shellac/Mission Of Burma) a Victoria Ruiz (Downtown Boys), passando per Bob Nastanovich (Pavement) fino all'accoppiata Joe Casey/Greg Ahee (Protomartyr), solo per nominare quelli maggiormente conosciuti e condivisi.
Insomma "Debt Begins At 30" si dimostra un progetto ben ponderato, strutturato perchè il risultato finale sia vincente sotto tutti i punti di vista e dove la sommatoria supera magicamente l'insieme dei singoli addendi.
I Gotobeds, infatti, hanno l'innata capacità di pompare atmosfera nelle loro composizioni, sfruttando il valore aggiunto dei guest senza esserne cannibalizzati, grazie al mix intelligente del vocabolario espressivo dei primi e di una propria personalità creativa giunta a maturazione.
I Gotobeds sono e suonano così.
Con grande libertà, leggerezza e raggio d'azione pressochè illimitato: saltano da un genere all'altro con disinvoltura alternando passaggi urticanti a melodie senza tempo.
Bravi!



Ascolta: Slang Words, Poor People Are Revolting, Debt Begins At 30, Dross, Bleached Midnight.





Davide Monteverdi

venerdì 4 gennaio 2019

Green River: "Dry As A Bone" + "Rehab Doll" (Sub Pop 2019 Deluxe Editions, Cd)



Si può dire che tutto sia iniziato da qui, da quel lontano 1984.
Un gruppo di amici senza particolari abilità creative e compositive che inconsapevolmente, insieme, cambieranno le rotte della nuova musica alternativa mondiale.
Questo erano in realtà i Green River: punk hardcore a tempo (quasi) scaduto e grunge in fasce, con quella miscela zozza e slabbrata di melodia e rumore, ballate lunari e chitarre anarchiche, Black Sabbath e Black Flag, che verrà subito dopo canonizzata con successo planetario da Nirvana e Soundgarden.
La Sub Pop, con l'ennesimo colpo di genio, ristampa all'inizio di questo 2019 l'intera "discografia"della band capostipite del Seattle Sound con la supervisione del producer originale Jack Endino e in versioni dopate e deluxe, sia in cd che in vinile dopo moltissimi anni: l'Ep "Dry As A Bone" del 1987 e l'album "Rehab Doll" del 1988, usciti accorpati in un cd unico 3 decenni fa circa e oggi presentati con gustosissimi extra a corredo, tra cui una versione "Loser Edition" su prenotazione e limitata in doppio vinile colorato (oltre a quella in normale doppio vinile nero) per ciascuna uscita.
Davvero un'operazione curata nei minimi particolari tecnici e filologici e, forse, necessaria per ribadire alle nuove generazioni (sempre che gli interessi qualcosa di buono) e ai nostalgici completisti quelli che furono i prodromi di una stagione musicale gloriosa, ovvero l'esplosione del Grunge su scala mondiale.
I Green River senza saperlo furono il primo supergruppo di Seattle, capitanato da tali Mark Arm, Stone Gossard e Jeff Ament che si divisero l'intera scena con alterne fortune nei Mudhoney, Mother Love Bone, Temple Of The Dog e Pearl Jam.
Si sciolsero nel 1988 (freschi di "Rehab Doll" appena licenziato) per le solite, banali, divergenze artistiche: Ament e Gossard alla ricerca della fama imperitura ed economicamente vantaggiosa da una parte, Mark Arm dall'altra con la sua proverbiale ostilità ai diktat del mercato e dell'hype.
Perchè ad essere sinceri accesero sì la miccia del futuro prossimo venturo, ma vendettero pochissimo nell'immediato e le profonde frustrazioni ebbero il sopravvento su tutto e tutti.
Il resto è storia contemporanea, un pò usurata dai tempi, ma che mantiene un fascino discreto  difficilmente riscontrabile negli attuali fenomeni sociomusicali.
Ai Green River dobbiamo anche la diffusione del termine Grunge utilizzato all'epoca dal boss della Sub Pop, Bruce Pavitt, per la promozione di "Dry As A Bone" sul territorio statunitense.
Dunque cosa aggiungere ancora su questa fantastica doppietta foderata di rare e gustose chicche, tra mix aggiornati, demo, featuring da compilation introvabili, cui va tutto il mio amore e la mia malinconia? Che trattasi di opera imprescindibile da acquistare e sparare a volume 10 sullo stereo di casa? Che Seattle non è mai stata così vicina? Che la Sub Pop spacca? Io me la sfango con una leggera predilezione per le atmosfere più rauche ed acerbe di "Dry As A Bone" rispetto all'evoluzione allucinata del pacchetto "Rehab Doll", "Swallow My Pride" compresa.
Io per una volta c'ero o quasi e questo già mi sollazza, al di là di gusti e visioni del tutto personali.

SUB POP

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Davide Monteverdi.