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martedì 26 gennaio 2021

Tony Borlotti E I Suoi Flauers: "Belinda Contro I Mangiadischi Deluxe!" (Area Pirata, Cd 2020).



Venticinque anni (+1) e splendere ancora dei raggi magnifici della postadolescenza non è da tutti.
Ma Tony Borlotti E I Suoi Flauers non sono meteore, nè tantomeno parvenus del rock alternativo italiano, ma pura leggenda - letteralmente - della scena Neobeat Psichedelica italiana.
Una di quelle eccellenze autoctone degne di essere esportate nel mondo, alla stregua delle giacche di Armani o di una Ferrari rosso fiammante.
Motivi più che sufficienti perchè Area Pirata scegliesse di ristampare a Dicembre, come presente per l'illustre anniversario dell'esordio, l'ultimo album della band di Salerno ("Belinda Contro I Mangiadischi" pubblicato originariamente nel 2019) in una lussuosa versione cd digipack e con il titolo leggermente rimaneggiato: "Belinda Contro I Mangiadischi Deluxe!", dove alla tracklist originale sono state aggiunte due tracce dall'Ep "Battuti E Beati" ("Superdonna", "Battuti E Beati") e un paio di succosi inediti scaturiti nel lockdown, poi fissati in studio durante l'illusoria euforia della scorsa estate ("Soli Nella Città", "Falso Giovane").
Le coordinate musicali sono - ovviamente - le medesime, ultimo step di un manifesto artistico dalla coerenza impressionante.
Le diciassette tracce brillano come stelle di un firmamento parallelo e suggestivo, zeppo di capelloni, colori saturi, fuzzismi e Farfisa che volteggiano come francobolli lisergici nel vento radioattivo.
Tutto molto ye-yè, come da manuale.
"Belinda" si riconferma la splendida Polaroid di un'epoca aurea che Tony Borlotti canta con assoluta - e viziosa - dimestichezza, mentre i suoi Flauers strumentalmente sono devastanti.
E allora buon compleanno kids, altre 100 di queste canzoncine letali, e grazie per averci regalato qualche minuto di vero spasso nel buio totale..

ASCOLTA: "Polaroid", "Sono Nei Guai", "Noi Siamo Qui", "Programma Beat".






Davide Monteverdi.

lunedì 9 novembre 2020

The Ghiblis: "Domino" (Area Pirata, CD ltd. ed. 2020)


Piacenza non è nuova a queste sortite con armi non convenzionali, in fuga da garage diroccati e spiagge radioattive che abbracciano il Po arrossato dai tramonti autunnali manco fosse l'Oceano Pacifico.
Piacenza Beach è un luogo ideale che fonde spirito ribelle e musica esotica, dove strani figuri si muovono sfruttando le ombre di palme plastificate in cerca di onde soniche da cavalcare senza limiti, come se il Domani ci aspettasse al varco con rodei meccanici e falò a perdita d'occhio.
Tra questi dropouts si muove anche un quartetto spregiudicato - quanto epicureo nel godere dei propri misfatti - che esordisce sulla lunga distanza (dopo un ep e un singolo) con l'ottimo "Domino": loro sono The Ghiblis sorta di centrifugato testosteronico e hard boiled di Hermits e Diabolico Coupè, figli della stessa terra e destinati - per linea di sangue - a confermarne l'aura leggendaria.
Undici sono le tracce dell'album, tutte strumentali (e originali tranne "Yesega Wat") e spalmate in poco più di mezzora, che pompano gioia e cazzeggio analogici in questa quotidianità sciagurata dove "Paranoia E Disperazione Sono la Mia Colazione".
Surf Music, Exotica, Lounge, Rock And Roll, Etno Jazz e arzigogoli Poliziotteschi vengono sparati con il riverbero ad alzo zero sulla depressione pandemica, un'allucinazione caleidoscopica che travolge a botte di sax e zigulì lisercici la maledetta nebbia padana, inneggiando però a ben altre latitudini geografiche.
Il Sig. Piero, Nick, Dandy e Zilion sono (ex?) juvenile delinquents da affidare alle patrie galere nella migliore delle ipotesi - o sono, forse, solo anime perdute sulla via della redenzione? Vallo a capire - ma al posto delle solite arance, sosteneteli acquistando uno dei 300 cd gentilmente prodotti dagli adorabili rockers di Area Pirata.
Allora su le mani per The Ghiblis, l'unico vero antivirus con deliziosi effetti collaterali!


Ascolta: La Danza, Morpheus, Slow Grind,  Landing Place, Yesega Wat.


Area Pirata


Davide Monteverdi.

lunedì 17 agosto 2020

VV.AA: " Rock These Ancient Ruins, Mama Roma's Kids" (Area Pirata/Surfin' Ki, Lp 2020).



14 proiettili dum dum sparati dritti al cuore di Roma. Quella ladrona di politici e malaffare, quella sordida di compromessi e sotterfugi, quella cheta di benpensanti e ipocriti di ogni risma.
!4 band aggregate da Lorenzo e Simone - rispettivamente di Bloody Riot e Blood '77 - nel nome del Rock And Roll e dei suoi mille rivoli scivolati lungo 40 anni di narrazione borderline capitolina.
Old School + New School = True School.
Grazie all'interesse di Area Pirata e Surfin' Ki - primi sostenitori entusiasti del progetto - prende vita questo splendido LP (ovviamente solo in vinile) dalla grafica citazionista e perforante, che prima incanta gli occhi e poi fa sanguinare il cuore.
Finalmente una raccolta con gli attributi al posto giusto e che va a colmare una lacuna pesante mettendo sul piatto un invidiabile livello compositivo: quelle che gli stolti scambiano per urla dei "Figli di Nessuno" diventeranno epitaffi gloriosi per gli adepti di Punk, Garage, Power Pop e Glam.
"Rock These Ancient Ruins, Mama Roma's Kids" vola almeno 1 km sopra ogni più rosea aspettativa - lo capisci già dal primo ascolto - e io sono incerto se lanciare suppellettili ai vicini o pisciare dal balcone sulle teste dei passanti in preda al furor sonico.
Davvero, non c'è nulla da aggiungere: qua passato e presente sono facce della stessa moneta persa in una rissa, una di quelle che però finiscono al bar.
Menzione d'onore per Alieni, Alex Dissuader, Taxi, Idol Lips, Tigers In Furs, Ferox.
Bravi, anzi, bravissimi.

Ascolta "Rock These Ancient Ruins" QUI



Davide Monteverdi.

mercoledì 29 luglio 2020

WASHED OUT: "PURPLE NOON" (Sub Pop, Cd 2020).


In principio "Purple Noon" era schedulato in uscita per la tarda primavera, poi il mondo si è capovolto - come tutti sappiamo - costringendo la Sub Pop a rivedere le proprie scadenze e posticipare, così, al 7 agosto il suo lancio sul mercato.
Lavoro intestato in ogni sua parte al talentuoso Ernest Green - solo il mixaggio è demandato al fido Ben H. Allen - sancisce il ritorno alla scuderia di Seattle dopo la breve parentesi Stones Throw, per "Mister Mellow", e un silenzio discografico durato 3 lunghi anni.
Silenzio a quanto pare costruttivo - solo qualche collaborazione "pesante" in giro la cui influenza si farà sentire - anzi, a posteriori fondamentale per sintetizzare le suggestioni raccolte strada facendo e in seguito redistribuite, con rara sensibilità, in ognuna delle 10 tracce.
"Purple Noon" nasce come organismo pulsante, una sorta di work in progress dove Washed Out sperimenta la fascinazione recente per il Modern Pop senza inibizioni: prima raffinando l'approccio alla produzione mai così cristallina, poi tastando differenti latitudini musicali nel tentativo di disegnare una traiettoria mainstream (umanamente) sostenibile, infine regalando inesplorate profondità emotive alla composizione dei testi.
E tutto, vale a dire proprio tutto di questo lavoro, origina dall'Amore nel suo complesso ventaglio di epifanie in collisione. Ascesa e decadenza, passione e perdita, approcci ingenui e delusioni fulminanti, convergenze inattese e doloroso oblio. 
Green, però, è bravissimo a smarcarsi dai clichè che banalizzano il quotidiano dell'universo Pop. Ne esorcizza ogni stanca consuetudine abbigliandola a festa e ci costruisce, con sagacia e dovizia di particolari, una dimora accogliente per le proprie riflessioni sentimentali.
Insomma, questo 4° album è il preciso "Qui E Ora" del genietto di Atlanta: sinuoso, sontuoso, immersivo, empatico e incredibilmente scorrevole dal primo all'ultimo minuto.
Una miscela letale di beat rotondi in chiaroscuro dal retrogusto salmastro, i cui bassi regimi imbrigliano a stento le pulsioni che fremono sottopelle, dove l'immaginario sonoro corre agile tra atmosfere patinate dai trascorsi suggestivi, ma riconsiderate con piglio futuristico.
"Purple Noon" si candida al titolo di album più accessibile e colorato di Washed Out già dalla copertina manifesto, omaggio minimalista all'ispirazione guida del momento: l'eleganza senza tempo del Mediterraneo in tutte le sue mille sfaccettature. Poteva forse esserci uno sfondo migliore per questa manciata di istantanee musicali?
Intenso.

Ascolta: "Face Up", "Paralysed", "Game Of Chance", "Hide".







Davide Monteverdi.


lunedì 22 giugno 2020

Shabazz Palaces: "The Don Of Diamond Dreams" (Sub Pop, Cd 2020).


A Ishmael Butler e a Tendai "Baba" Maraire non riuscirebbe qualcosa di basico neanche se ci provassero con tutte le loro forze.
Anzi, il percorso musicale degli Shabazz Palaces si arricchisce a ogni episodio di nuove visioni trascendentali proiettate in un futuro cosmico sempre più stratificato, dove gli incroci tra cultura Afro, Hip Hop, R&B, Jazz, Dub, Soul e Funk si dilatano all'inverosimile inglobando suggestioni sia dal passato che dal presente.
Se negli album precedenti le influenze acclarate del duo di Seattle rispondevano a nomi leggendari come Miles Davis, Sun Ra, George Clinton, Pharoah Sanders e Alice Coltrane in "The Don Of Diamond Dreams" la principale fonte d'ispirazione - sbandierata in tutte le interviste con malcelato orgoglio paterno- è Lil Tracy, principe della scena Emo Rap nonchè figlio prediletto di Ishmael, che di nome fa Jazz tanto per capirci.
L'apporto di sangue fresco fa progredire sensibilmente il progetto, inoculandogli quella contemporaneità nei beat e nelle rime - a botte di autotune distorto e trap lunare - che se da un lato appaga l'insaziabile fame di innovazione di Butler, dall'altro cerca di far breccia nei cervelli dei nuovi flippati di device e social media.
Per fortuna le nuove virate si integrano al meglio con la rotta musicale già tracciata, senza minimizzarne l'intensità in alcun modo.
Si conferma così l'incredibile complessità delle tessiture sonore e concettuali alla base del nuovo lavoro. Complessità che si esplicita nel soundclash di rara compiutezza tra analogico e digitale, tra fenomenali musicisti in carne e ossa, featuring, e synth iperuranici, tra quotidianità metabolizzata e pellegrinaggi ultraterreni.
"The Don Of Diamond Dreams" è la narrazione affascinante - 10 tappe in tutto - di un viaggio avventuroso nelle potenzialità dell'impensabile: siamo ormai oltre l'hip hop astratto cui gli Shabazz Palaces ci hanno abituato in passato e a un soffio dalla (meritata) consacrazione nei libri di storia della Grande Musica.


Ascolta: "Ad Ventures", "Bad Bitch Walking", "Reg Walks By The Looking Glass".








Davide Monteverdi.


lunedì 1 giugno 2020

Rolling Blackouts C.F.: "Sideways To New Italy" (Sub Pop, Cd 2020).


Il 5 Giugno esce - finalmente - il nuovo album dei Rolling Blackouts C.F. e saranno momenti di godimento vero e meritata spensieratezza. La cristallizzazione sociale del Lockdown che si sgranchisce pian piano nella Fase 2, il cuore in panne, il desiderio - da far scoppiare la testa - di danze sfrenate ed empatie diffuse rivendicavano una colonna sonora di sole e chitarre che la band di Melbourne ci elargisce qua a piene mani.
E non è un caso che la data scelta sia proprio questa - un momento storicamente complicatissimo e programmaticamente incerto - al netto di ripensamenti ed elucubrazioni affaristiche, tanto forte era la necessità di dare una forma finita il prima possibile a mesi di lavoro durissimo. Come a sancire, in via definitiva, la contrapposizione netta tra il "Mondo Prima" e il "Mondo Dopo" con la testa leggera già proiettata alla fase successiva.
Il tour in giro per il mondo a promuovere "Hope Downs", il processo creativo, le sessioni in studio, la lontananza da casa e dalla quotidianità degli affetti, infine la pandemia hanno fatto il resto.
"Sideways To New Italy" diventa così un romantico diario di viaggio, interiore e geografico, articolato - con genuina empatia -  in dieci episodi dove la doppia sospensione spazio-temporale/emotiva si racconta col linguaggio che i Rolling Blackouts C.F. hanno imparato ad affinare in maniera impeccabile: la coralità
Le tre chitarre di Tom, Joe (White) e Fran si incrociano, si annusano, si sfidano - così come le voci e le rispettive liriche - rincorrendosi sulla base ritmica che Joe (Russo) e Marcel ricamano con potenza e precisione,  affidando alle melodie - mai così cristalline -  il compito di chiudere il cerchio emozionale tra potenziali instant hit e ballate da college radio.
E' una storia che profuma di vita vera iniziata nel villaggio sperduto di New Italy, metabolizzata in Italia - ormai meta prediletta del quintetto - e conclusa col caldo abbraccio del ritorno in Australia.
Un vagabondare iniziatico le cui tappe non ci sono poi così estranee: mettersi in gioco, perdersi, ritrovarsi.
Davvero una sensazione di piacevole appagamento constatare quanto la band abbia mutato pelle in questo tragitto, affrontando il nuovo album con il piglio dell'artista consumato, senza però rinnegare l'urgenza espressiva degli esordi.
I Rolling Blackout C.F. si confermano una solida certezza del panorama "Indie Rock" e pronti, ora più che mai, a sfidare il Mondo a suon di canzoncine strepitose. 
L'ultimo capitolo credibile, in ordine di tempo, di un Paese che raramente ci ha deluso in campo musicale.
Da ascoltare a ripetizione fino ad avvenuta fusione del supporto!


Ascolta: "The Second Of The First", "The Only One", "Not Tonight".








Davide Monteverdi.



giovedì 23 aprile 2020

The Homesick: "The Big Exercise" (Sub Pop, Cd 2020).


Gli Homesick sono formalmente un trio - alla bisogna si aggregano altri musicisti per completare il suono della band - olandese messo sotto contratto nientemeno che dalla Sub Pop la quale, come più volte articolato in passato, ha sviluppato un fiuto infallibile nell'arricchire e diversificare il proprio catalogo, aprendo a soluzioni musicali talvolta eterodosse, ma pregevoli sotto molti punti di vista.
Rientrano in questa categoria i kids di Dokkum che con "The Big Exercise" confezionano un esordio per la label di Seattle che è un pò la sorpresa - in positivo - dei primi mesi dell'anno.
Reduci da un primo album "Youth Hunt" ( per la indie label Subroutine) che già diceva parecchio del loro manifesto estetico seppur declinato in maniera acerba e con focus ondivago, in questo nuovo lavoro di studio si superano alla grande.
In meno di 3 anni sono infatti riusciti a compattare suoni e idee, a renderli organici e fruibili, secondo un'interpretazione molto personale del concetto di musica "Pop", che dovrebbe essere in primis veicolo di Bellezza condivisa senza necessariamente scendere a patti con i trend del momento.
In " The Big Exercise" c'è tutta questa tensione artistica e ideale, la si avverte sulla pelle, canzone dopo canzone, in un esplosione policroma dall'impatto devastante.
Merito della produzione accurata e matura, certo, ma anche - e soprattutto - della conflagrazione di mille coordinate sonore che contribuiscono a rendere magico il prodotto finale, super divertente da ascoltare a ripetizione e di difficile catalogazione "atmosferica".
In " The Big Exercise" resiste la scia post punk/wave, si odorano rarefatti effluvi prog e psichedelici, i tentativi art pop vanno a buon fine così come le impennate chitarristiche, e il melange che ne scaturisce profuma di sole, campi in fiore e amore libero.
Animal Collective, Scott Walker, King Gizzard, Field Music, Beatles, XTC, Monochrome Set, Josef K, Ariel Pink - tra i tanti - sono gli astri luminosi della galassia sonora e compositiva che gli Homesick frequentano con dimestichezza, o almeno così scrivono quelli che di musica ne sanno a pacchi.
"The Big Exercise" è una raccolta di canzoni davvero molto affascinante e con il potere di cambiare il senso di una giornata qualsiasi, per questo merita almeno un ascolto e possibilmente l'acquisto immediato.
Bravi!

Ascolta: "Children's Day", "I Celebrate My Fantasy", "Focus On The Beach", "Male Bonding".






Davide Monteverdi.


venerdì 17 aprile 2020

The Strange Flowers: " Songs For Imaginary Movies" (Area Pirata, Cd 2020).


Cinque anni dopo "Pearls At Swine" - tra cambi di formazione, pause riflessive e ripartenze entusiastiche -  c'è ancora vita nei territori Strange Flowers.
Gli eroi pisani della stagione neopsichedelica italiana, nati artisticamente nel 1987, rientrano in piena attività in questo sciagurato 2020 con "Songs For Imaginary Movies", sempre per la benemerita label (pisana) Area Pirata, e lo fanno con 2 belle edizioni in tiratura limitata: una gatefold in vinile con 11 tracce e una in cd con 2 tracce bonus.
E per fortuna - dico io - perchè in questi tempi sospesi di incertezza totale la musica degli Strange Flowers è una manna dal cielo carica com'è di luce e colori ("colorful group" li definì una volta il guru Timothy Gassen), di movimenti plastici e sogni iridescenti, di immagini liberatorie e sonorità che stemperano le attese in coda, l'irrequietezza dilagante, gli incubi notturni.
Il quartetto si riforma attorno al nucleo originale composto da Michele Marinò (chi/vo), Giovanni Bruno (chi/vo) e Alessandro Pardini (ba) con l'aggiunta di Valerio Bartolini (bat) e si siede in cerchio attorno al fuoco in cerca di ispirazione. E qua, in questo nuovo album, ce n'è davvero a pacchi in ognuna delle canzoni, ma declinata secondo il principio di sobrio equilibrio tra vecchi e nuovi input, così da risultare, oggi, una band ancora attraente e mesmerica dopo essersi reinventata al netto di metamorfosi imbarazzanti.
Come nella vita anche nell'arte di comporre musica gli Strange Flowers alternano tempesta a quiete:  momenti caleidoscopici di chitarrismi frenetici e possenti incrociano ballate folk/bucoliche di grande intensità emozionale per trasformarsi subito dopo in istantanee soniche (proto) Brit e (proto) Grunge dal retrogusto sinuosamente 60's, con una vetta di assoluta eccellenza evocativa come "Heal".
"Songs For Imaginary Movies" per tutto questo, e molto altro, meriterebbe di piazzarsi tra i migliori album italiani del 2020 - l'anno in cui il mondo si è capovolto - stravolgendo ogni pronostico come in un sogno di Timothy Leary. 

Ascolta: "Cure Me", "Heal", "Apocalypse", "Stormy Waters", "Children Of The Drain".


  




Davide Monteverdi.

martedì 7 aprile 2020

Smalltown Tigers: "Five Things" (Area Pirata, Cd 2020)


Ci mettono 22 minuti scarsi le Smalltown Tigers a tirare giù tutto il possibile e immaginabile.
In un lasso di tempo minimo, che manco nell'Hardcore anni '80, il power trio all female targato Rimini assembla 8 tracce splendide dall'incedere ruffiano e poderoso, surfando un'onda immensa - e generata da 50 anni almeno di background sonico - con l'ardore incosciente e traballante della Prima Volta. Valli (basso/voce), Monty (chitarra/voce) e Castel (batteria/voce) non soffrono minimamente di un qualsivoglia complesso di inferiorità nei confronti dei loro numi tutelari, anzi li guardano dritti negli occhi pronte alla rissa.
Che siano Ramones o Runaways non fa differenza, perchè le Smalltown Tigers riescono a sfilarsi agilmente da paragoni (imbarazzanti) suonando di brutto dall'inizio alla fine dell'album: l'energia è sincera, la personalità è solida e acclarata, le canzoni filano via come zucchero filato dal retrogusto power pop, cosicchè il futuro prossimo venturo parrebbe una pura formalità da interpretare, però, senza eccessi di zelo.
Piacciono le Smalltown Tigers - e parecchio - soprattutto dal vivo, sia in Italia che all'estero dove ormai sono di casa. Ma attenzione, concentrazione, perchè tutto fili liscio la conditio sine qua non resta una e una sola: continuare a sognare ad occhi aperti.
"Five Things", masterizzato dall'asso "detroitiano" Jim Diamond, è in uscita intorno al 24 Aprile sempre per i kids di Area Pirata.
Pigliatelo al volo!


Ascolta: "Five Things", "Find Myself Another Name", "Darling Please".






Davide Monteverdi.


martedì 17 marzo 2020

MOANING: "UNEASY LAUGHTER" (Sub Pop, 2020).


Una Risata Complicata spiegata dalla band che di nome fa Gemendo potrebbe rivelarsi l'incipit perfetto per queste giornate di quarantena dominate dallo spettro del virus.
Infatti non potrebbe nascere una colonna sonora migliore di questa ai tempi della Pandemia, che ha scollegato tutto il fuori per ricablarci dentro, ma al quadrato. Dentro alla nostra quotidianità aumentata, dentro le quattro mura che ci hanno accolto quasi sempre di passaggio, dentro al silenzio introspettivo finalmente senza rumori di fondo. Intenti per una volta ad ascoltare, a capire, ad immaginare quello che era il Prima e che dopo, probabilmente, non sarà più.
I Moaning tagliano il traguardo per primi in questo Marzo 2020 sfigatissimo, imprevisto ed imprevedibile.
Lo fanno spargendo spleen a rullo sui testi - che a sto giro virano sempre più verso una dimensione intimista - cauterizzando ogni tentativo di autoreferenzialità e distillando suoni che ondeggiano malinconici e possibilisti tra Editors e Sound, New Wave e Shoegaze, rincorse e pause splendenti, saturi di sintetizzatori e bassi rotondi alle porte della primavera ufficiale.
Si riaffaccia così alla musica il trio di Los Angeles, guidato dal poliedrico cantante/chitarrista Sean Solomon, con il secondo album "Uneasy Laughter" - in uscita il 20 Marzo - licenziato ancora una volta dalla Sub Pop, label altrettanto flessibile e diversificata nella costruzione del proprio catalogo.
Evolve però il mood generale rispetto all'omonimo esordio del 2018 dettato, con ogni probabilità, dall'anno di sobrietà che Solomon stesso rivendica fortemente ovunque sia possibile e a cui la band paga pegno su due fronti: da una parte la maggiore lucidità compositiva, dall'altra l'attitudine positiva nel relazionarsi emotivamente con gli ascoltatori. Le chitarre finalmente trovano un ordine democratico disegnando trame efficaci che vengono cesellate al volo dalle pelli di Andrew MacKelvie e dalle tastiere gommose - e onnipresenti - di Pascal Stevenson. Queste sì vera e propria chiave di volta - in concorso con le linee vocali di Solomon - nel capitalizzare al massimo il rinnovato manifesto sonico della band.
"Uneasy Laughter" e le sue 13 tracce - in realtà non tutte necessarie a dare un senso al nostro tempo lento e dilatato - si fanno ascoltare con generosità perchè si allontanano, entro ragionevoli margini di sicurezza, dai reflui del Passato per abbracciare un sentimento Pop che ne esalta il bouquet espressivo. Attenta anche la produzione di Alex Newport (Melvins, Bloc Party, At The Drive In) a bilanciare ogni sfumatura,  a dare forma compiuta alle canzoni dei Moaning che escono rinvigoriti dal lavoro di studio.
Un impatto che soddisfa tutte le parti in causa, dunque, e che lascia intuire un futuro prossimo in continua evoluzione.



Ascolta: "Running", "Coincidence Or Fate", "Keep Out".  





Davide Monteverdi.