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lunedì 6 maggio 2024

FUZZTONES: "LIVE AT THE DIVE '85" (Area Pirata, cd digipack).


Per chi respira l'immaginario Garage i Fuzztones rappresentano una delle punte di diamante del revival sbocciato negli Stati Uniti all'inizio degli anni '80. Sicuramente possono fregiarsi del titolo di band più longeva del genere e - con ogni probabilità - quella che ha riscosso i maggiori consensi e successi "commerciali", soprattutto se paragonati ai tanti coevi meno (economicamente) fortunati. In questo inedito "Live At The Dive '85" reso finalmente disponibile da Area Pirata sotto forma di doppia release in edizione limitata, Rudi Protrudi e soci si fanno le ossa con il repertorio di "Lysergic Emanations" - che vede la luce in quei giorni - e una manciata di splendide cover tra passato (oscuro) e contemporanei attestati di stima, suonando alla morte una ventina di canzoni per un manipolo di amici e prime mover scatenati come pochi. Album che, oltre a godere di una registrazione qualitativamente buona, è anche testimonianza diretta del quintetto in stato di grazia. Un'istantanea tanto preziosa quanto dettagliata - da qualsiasi angolazione la si guardi - di un'epoca virtuosa che oggi sembra appartenere alla mera mitologia musicale per loser. Infatti da un lato immortala il The Dive (club iconico della New York pitturata di Sixties) nel suo momento di massimo splendore prima dell'implosione prematura, dall'altra i Fuzztones (con la migliore formazione di sempre?) all'alba del tour europeo della piena consacrazione. Da questa miriade di circostanze, fortuite o meno, scaturirà poi quel "Live In Europe" che non solo chiuderà il cerchio a due anni di distanza dall'esibizione al The Dive, ma anche il primo eccitante capitolo della storia dei Fuzztones.
Da lì in avanti sarà tutta un'altra storia.

  FUZZTONES 

AREA PIRATA Bandcamp


Davide Monteverdi.

giovedì 23 giugno 2022

NOT MOVING L.T.D.: "LOVE BEAT" (Area Pirata, Cd 2022).


Fa sorridere parlare di album della "maturità" per una band come i Not Moving - leggenda underground (ma neanche tanto poi) della controcultura musicale tricolore degli anni 80 - già nell'immaginario collettivo dei rockers nostrani per quasi quattro decenni, e ora ritornati sotto ai riflettori come Not Moving L.T.D. (dalle iniziali dei tre membri storici) grazie appunto a questo nuovo "Love Beat".
Il primo vero e proprio lavoro di studio per il combo spaccato a metà tra Emilia e Toscana dal lontano 1988, quando diedero alle stampe "Flash On You" ormai a scioglimento praticamente avvenuto.
Attualmente la band è composta dai tre veterani Tony (batteria), Lilith (voce) e Dome (chitarra, cori) come primigenio volano propulsivo, con la seconda chitarra (e cori) della gagliarda Iride Volpi in aggiunta. E no, non è contemplato il basso di cui per altro non si sente la mancanza nell'impatto generale dei brani, soprattutto nelle esibizioni dal vivo dove i Not Moving danno da sempre il meglio di sè.
Parlavamo di album della "maturità" poco fa per la perfetta quadratura di tutti i fattori in gioco: il suono è compatto e perfettamente rifinito, le asperità del passato hanno lasciato il posto a una fluidità espressiva invidiabile e il salto in avanti della voce di Lilith ne è la prova provata, le tracce poi si snodano su minori velocità e maggiori intensità emotiva, e soprattutto si percepisce una verve compositiva lontana dall'impellenza degli esordi ma che mantiene la sincerità e la coerenza di quei giorni turbolenti e maledetti, seppur impastata di vita vissuta e strade battute.
"Love Beat" è l'"Hic Et Nunc" dei Not Moving e si spiega ai fan vecchi e nuovi con nove canzoni brillanti (otto originali più la cover di "Primitive" dei Groupies), dotate di grande fascino ed energia, da cui è difficile non farsi sedurre in un momento di normale disattenzione quotidiana. Insomma come se gli X, i Cramps, i Gun Club, i Bad Seeds, e (soprattutto) gli Stones cercassero di approfittarsi delle tue intime grazie sul cofano di una Barracuda grondante fango.
E allora tributiamo l'ennesimo ovazione ai kids di Area Pirata, gli artefici di questa nuova tacca sulla consumata cintura delle novità discografiche imprescindibili: i Not Moving L.T.D. sono qui per restare anche grazie a loro e "Love Beat" cresce, cresce, e ancora cresce!

Ascolta: "Going For A Ride", "Dirty Time", "Don't Give Up", "Rubbish Land".






Davide Monteverdi.

giovedì 2 dicembre 2021

Polvere Di Pinguino: "Stand By The Dream" (Area Pirata, Cd '21)


Polvere Di Pinguino.
Che nome bizzarro per una band che nulla c'azzecca con (presunti) vagheggiamenti psichedelici o progressive. O meglio rimesta sì nel torbido dei primi in alcuni episodi, ma unicamente per abbassare i giri e rifiatare dopo le continue scaramucce a colpi di rock and roll bastardo, figlio degenerato dei Sixties, come dei Seventies (magari anche Eighties), più malati e rissaioli.
E' così che il quintetto di Carrara - attivo dai primi anni 80 fino allo scioglimento del 1992 - entra sbuffando nel contenitore "Garage Revival" preso per mano da una parte del giornalismo militante fin dagli albori, sedendo però comodamente in disparte e senza dare particolare confidenza a nessuno.
All'attivo ci sono alcune reunion, un paio di album, un singolo e un ep che incideranno il loro nome nel muro tricolore delle leggende misconosciute, bagnate di ogni fluido corporeo possibile ma non dalla gloria imperitura.
A questo prova a porre rimedio Area Pirata, sempre più intraprendente nell'opera di recupero degli Unsung Heroes del nostro recente passato, stampando per l'appunto "Stand By The Dream".
Qualcosa che va al di là della semplice operazione di assemblaggio sonoro, e che anzi tratteggia nuovi margini di approfondimento per un periodo storico/musicale che oggi si merita questa riconfigurazione netta  in termini di diffusione e narrazione.
Tranne il primo sette pollici - con la strepitosa cover di "Alabama Song" - qua presente nella sua veste ufficiale, nella tracklist di "Stand By The Dream" trovano spazio solo le demo di alcuni brani - tra cui "Trash It Baby" e "Back To Zero" fino ad oggi inediti assoluti - poi finiti rispettivamente su "Polvere Di Pinguino" del 1988 e "Leggi E Allucinazioni" del 1992 in versioni rimaneggiate, più quattro tracce live registrate al CSOA Kronstadt (con una "I Wanna Be Your Dog" da urlo) totalizzando 17 bombe stordenti collegate tra loro da un crescendo espressivo destinato, ahinoi, ad implodere.
Ecco dunque l'istantanea nuda e cruda dei Polvere Di Pinguino al netto di ogni parrucca: una band compatta, sicura dei propri mezzi espressivi a tratti selvaggi, fluida nel navigare tra reminescenze punk e hard quanto mai dimentica delle radici, incredibilmente sottovalutata nonostante l'impatto sonico e l'affinata sensibilità nel coniugare irruenza e perizia tecnica, liriche e panorami musicali di grande intensità.
Una spanna sopra a tutto la voce di Luca Ratti - alias "Lungo" - sorta di Danzig autoctono in crisi d'identità, incapace di decidere quale padre adottivo scegliersi tra Jim Morrison e Iggy Pop.
"Stand By The Dream" esce in cd a tiratura limitata di 300 copie con una lussuosa confezione gatefold all'interno della quale si può curiosare tra immagini inedite, note sfiziose e chicche varie.
Sorprendente!

Ascolta: "Stand By The Dream", "Trash It Baby", "Girls Like Vampires", "Yours Not Ours".







Davide Monteverdi.

martedì 3 agosto 2021

Elli De Mon: "Countin' The Blues" (Area Pirata, Cd 2021).


Elli De Mon è una fantastica sacerdotessa del Blues - affermazione al netto di qualsivoglia odiosa ridondanza, sia chiaro - che attraversa il 2021 con classe enorme. Lo fa cantando e suonando la Musica delle origini, ritoccandone il DNA senza modificare la struttura portante, reinterpretando la tradizione con il piglio fresco e - francamente - accattivante del proprio background garage punk.
L'album "Countin' The Blues", il primo per la label Area Pirata, è solo l'ultimo tassello di un progetto più ampio che coinvolge anche l'omonimo libro pubblicato nel 2020 ("Countin' The Blues: Donne Indomite"), dove la cantante e polistrumentista veneta narra le vicissitudini delle regine del Blues nei primi decenni del '900. Dalle pagine preziose, tramandate alla memoria collettiva per sanarne l'amnesia dilagante in materia, scaturisce poi l'illuminazione geniale: omaggiare queste donne indomite, e splendide nella loro "resistenza" di tutti i giorni, con un tributo musicale.
Le canzoni citate nel libro (10 nella versione in vinile, 9 in quella su cd) vengono così estrapolate dalle righe scritte e sparate in una dimensione di bellezza parallela, in cui la "One Woman Band" è libera di ubriacarle a botte di chitarra lap steel, sitar, percussioni e tastiere. Tra goticismi e ortodossie, tra swamp e futuro di una volta.
Già dal primo ascolto scatta l'amore istantaneo per l'intero concept: l'ibridazione tra passato remoto e quello prossimo è riuscitissima - soprattutto equilibrata in virtù della spiccata sensibilità artistica di Elli - e "Countin' The Blues" corre magnifico e aggraziato come un purosangue riportato a migliori intenzioni dopo le innumerevoli sgambate nella valle della rimembranza. 
Bessie, Lucille, Ma, Lottie e le altre ragazze non potrebbero andare più fiere di questo album, ci potete giurare. Una iridescente perla rara nel mare sonico sempre più adulterato da effimera bruttezza.

Ascolta: "Downhearted Blues", "Shave 'Em Dry", "When The Levee Breaks", "Last Kind Words".





Davide Monteverdi.

mercoledì 3 marzo 2021

A FISTFUL OF AREA PIRATA 2021.

 Inizia col botto il 2021 per la famigerata label toscana Area Pirata che a Febbraio lancia sul mercato due album seminali, rigorosamente su vinile, in edizione limitata deluxe di 300 copie ognuno.


La prima uscita riporta nella disponibilità di fan vecchi e nuovi "Shaking Street", il secondo album dei Sick Rose, uscito originariamente nel 1989 e noto per la sua cronica irreperibilità.
Fu l'album della "consapevolezza" per la leggendaria garage band di Torino, già in fortissima ascesa nel panorama italiano e internazionale dopo "Faces" con cui debuttarono nel 1986, che qui rimodulò il proprio suono indirizzandolo verso territori rock più stradaioli e muscolari rispetto agli esordi, allora intrisi di sacro furore sixties punk dal sapore adolescenziale.
Il titolo è un (ovvio) tributo ideale agli MC5 periodo Back In The Usa - in scaletta trovate ben due versioni della loro "Shaking Street" - e all'immaginario detroitiano che dilagò un pò dappertutto dalla metà dei '70 in poi, ma anche (e soprattutto) manifesto di affrancamento stilistico prima immaginato e poi trascritto on the road. Tra furgoni scalcinati, concerti selvaggi, notti insonni e percorsi esistenziali non sempre indolori.
Trentadue anni dopo eccoci qua.
Con la splendida ristampa gatefold laminata in mano e una tracklist che si arricchisce di due bonus track - passando così dalle originali dieci tracce alle attuali dodici (tra episodi autografi e cover) - da cui trasuda ancora irruente e primordiale tutta l'energia della band, cavalcata a pelo dalla voce ispida e nevrotica di Luca Re.
"Shaking Street" è stata, e si conferma a tutt'oggi, una delle pagine musicali più belle e genuine della cultura underground tricolore - oserei dire - di sempre.
Uno sguardo tanto suggestivo quanto inebriante sugli "altri" anni '80.
Quelli che ambivano a smarcarsi dal fosco retaggio della storia recente ridisegnando l'altrove e invocandolo per nome senza paura: Futuro! 

Ascolta: "Little Girlie Girl", "A Kiss Is Not Enough", "Little Sister". 




La seconda uscita invece ci catapulta di peso nella New York tossica e violenta dei primi anni '80.
Quando i rottami del punk venivano fagocitati dalle avanguardie hardcore e il CBGB era in verticale sulla rampa di lancio della mitologia spiccia.
Nel mentre, negli antri oscuri delle sale da concerto, si aggiravano pierrot assassini con le facce d'angelo, ubriachi di 1966 e Charles Manson, fuzz fluorescenti e mani guantate di nero.
In questo caso erano 5 i reflui di suburbia, figli bastardi della Grande Mela con l'istinto killer per la musica dimenticata, l'unico caos che frequentavano davvero. 
Erano gli anni in cui i dropouts riscoprivano l'altra faccia della Summer Of Love.
Quella sanguigna e strafottente delle college band, dei miti mai diventati tali per i giornaletti dei parrucchieri.
Si chiamavano Outta Place e senza saperlo contribuirono a innescare la miccia (insieme a Fuzztones, Chesterfield Kings, Unclaimed e pochi altri) del cosiddetto Garage Punk Revival.
Il primo. Il più devastante.
Una febbre globale destinata a inebriare non solo quel decennio complicato e schizofrenico, ma a rovesciare i propri effluvi anche sui successivi.
"Prehistoric Recordings" è, in soldoni, il precipitato emotivo di tutto ciò e molto di più.
Per esempio i dieci brani grezzi e sguaiati dell'infame demotape che Mike Chandler e soci incisero nel 1983 - da cui J. D. Martignon estrasse i sette che traghettò alla Midnight Records per trasformarli nel Mini "We're Outta Place" - e soprattutto, questa sì è la chicca della release, i quattro brani registrati dal vivo al The Dive nel Marzo del 1984 aggiunti alla tracklist originale.
Chiudono definitivamente la partita la copertina super psych disegnata da Bastian Troger e le note a corredo di Lenny Helsing, dissipando così ogni residua titubanza sull'acquisto dell'album.
Registrazioni in mono che faranno sbavare vecchi fan e completisti ma che, ci auguriamo, aprano squarci nel cuore di qualche giovane teppista delle nuove generazioni.

Ascolta: "What 'Cha' Talking, "We're Outta Place".



Davide Monteverdi.

mercoledì 20 maggio 2020

Baby Jesus: "Words Of Hate" (Area Pirata, LP 2020)


Quando sei svedese e nella vita vuoi suonare musica grezza e immediata - intrisa di sudore e miasmi psichedelici,  possibilmente unta dal sancta sanctorum 60's - ti trovi in una situazione molto particolare e delicata: almeno non sfigurare nel confronto (improbo) con i tuoi illustri predecessori.
Creeps, Stomachmouths, Crimson Shadows, Nomads sono semplicemente leggende del Garage mondiale cui i Baby Jesus cercano di carpire i fondamentali del Verbo, album dopo album.
E con "Words Of Hate" - terzo lavoro uscito in pieno lockdown - ribadiscono il concetto con ancor più veemenza, buttando giù 13 canzoni che pescano sì dal mazzo, ma ampliando generosamente il ventaglio di riferimenti sonori al netto di paletti di spazio - tempo - genere.
Ecco allora i Morlocks, Link Wray, i Creedence e pure i Black Lips fare capolino qua e là tra schizzi surf, ballad folk marziane, jingle jangle lisergici e un paio di tirate dal DNA punkettone proprio niente male.
Dunque posso tranquillamente affermare che la missione dei kids di Halmstad è riuscita.
Vale a dire ritagliarsi un angolino accogliente subito alle spalle dei loro antenati blasonati, nonostante un refresh compositivo - circostanziato proprio in "Words Of Hate" - che li rende più protagonisti contemporanei che nostalgici revivalisti.
Per gli amanti del Garage e del Rock And Roll in generale.

Ascolta: "No Reason At All", "Red Fangs", "Baked For Money", "Who You Are".






Davide Monteverdi.


martedì 7 aprile 2020

Smalltown Tigers: "Five Things" (Area Pirata, Cd 2020)


Ci mettono 22 minuti scarsi le Smalltown Tigers a tirare giù tutto il possibile e immaginabile.
In un lasso di tempo minimo, che manco nell'Hardcore anni '80, il power trio all female targato Rimini assembla 8 tracce splendide dall'incedere ruffiano e poderoso, surfando un'onda immensa - e generata da 50 anni almeno di background sonico - con l'ardore incosciente e traballante della Prima Volta. Valli (basso/voce), Monty (chitarra/voce) e Castel (batteria/voce) non soffrono minimamente di un qualsivoglia complesso di inferiorità nei confronti dei loro numi tutelari, anzi li guardano dritti negli occhi pronte alla rissa.
Che siano Ramones o Runaways non fa differenza, perchè le Smalltown Tigers riescono a sfilarsi agilmente da paragoni (imbarazzanti) suonando di brutto dall'inizio alla fine dell'album: l'energia è sincera, la personalità è solida e acclarata, le canzoni filano via come zucchero filato dal retrogusto power pop, cosicchè il futuro prossimo venturo parrebbe una pura formalità da interpretare, però, senza eccessi di zelo.
Piacciono le Smalltown Tigers - e parecchio - soprattutto dal vivo, sia in Italia che all'estero dove ormai sono di casa. Ma attenzione, concentrazione, perchè tutto fili liscio la conditio sine qua non resta una e una sola: continuare a sognare ad occhi aperti.
"Five Things", masterizzato dall'asso "detroitiano" Jim Diamond, è in uscita intorno al 24 Aprile sempre per i kids di Area Pirata.
Pigliatelo al volo!


Ascolta: "Five Things", "Find Myself Another Name", "Darling Please".






Davide Monteverdi.


mercoledì 1 aprile 2020

Golden Shower: "Dildo Party" (Area Pirata, Cd 2020)


L'isolamento da Covid 19 impazza, ma per fortuna ci pensa Area Pirata a dissolvere ansie, noia e malumori assortiti con un bel pacco di nuove uscite in cd e vinile.
E' il caso, per l'appunto, del nuovissimo album dei Golden Shower, maestri dell'ironia e del Rock And Roll, cui basterebbe il mix di artwork e titolo per mettere a tacere qualsiasi tipo di ingenua curiosità o domande sbilanciate sul politically correct. Certo non sono dandies, nè gentiluomini strappati allo studio di registrazione di Peter Gabriel durante una session di Prog evoluto. Trattasi invece di quattro ceffi di non meglio precisata origine che nel Marzo (maledetto) 2020 se ne escono con il loro terzo album in studio - "Dildo Party" - dopo svariati anni di silenzio, giusto per impartire una sonora lezione di cattiva educazione socio/musicale a chi sguazza orgoglioso nei bassifondi Garage/Punk/R'n'B/60's dell'Impero.
Tredici tracce sbilenche che trasudano sangue, attitudine, divertimento, goliardia, direttamente dai pori di chi è sopravvissuto alle scommesse bislacche della vita. Tra defezioni, cambi di formazione e uno stop quinquennale - dal precedente EP "Gasolio" - che poteva risultare fatale al futuro della band.
Eppure i Golden Shower sono ancora qui, tra noi, a quanto pare più forti del fato e della pandemia,  pronti a spiegarci i loro scazzi di quartetto agguerritissimo e con un'idea meravigliosa in testa: farci saltare per aria dopo aver commesso atti paradossali e, probabilmente, contronatura.
Grazie amici per questa botta di vita in giornate tragiche e sospese nel tempo di un limbo impietoso: "Dildo Party" non conquisterà mai le vette di nessuna classifica mondiale, ma si confermerà come il vademecum essenziale per l'arresto al prossimo (cazzo di) flashmob.

Ascolta: "Things I Learned (When It Was Too Late), "Dildo Party", "Touch Me", "Nobody Knows", "Second Cum".





Davide Monteverdi


mercoledì 3 luglio 2019

Area Pirata Summer Pack 2019


Quarant'anni fa i Mads si facevano strada nella nebbia di Milano per portare il verbo Mod su e giù per l'Italia. Le atmosfere erano rarefatte, i momenti spesso drammatici e il grigio piombo avvolgeva ogni cosa come un sudario di cemento.
Da allora ne sono passate di situazioni e vicissitudini per la band, ma i kids meneghini sono ancora qui. Oggi. A pestare duro. Con un'altra robusta iniezione di sole, di vita, di attitudine a tutti livelli, sotto forma di 7"/Cds che contiene un paio di numeri davvero niente male. "Turn Me Up" (sul cds c'è anche una versione strumentale), che dà anche il nome a questa lacca rosso fuoco, è il nuovo regalino per questi giorni incandescenti e ci trasporta su isole lontane, a piedi nudi nella sabbia, con il Panama ben calcato sulla zucca. Mentre la cover di "Strange Town" dei Jam ci lavora agilmente sotto la cintura, ribadendo ancora una volta quanto i Mads siano un tesoro nazionale altamente esportabile.





Ci sono voluti anni per avere tra le mani questo nuovo lavoro dei Los Infartos.
"El Narco Ritmo" esce infatti in formato 10" a ben 36 mesi dal singolo precedente, con quattro bombe a carico di notevole impatto ("Karrrate Bilbao" hit dell'estate a furor di popolo), nel caso fosse necessario ribadire come gli attributi del quartetto di base a Teramo siano ormai giunti a sviluppo (quasi) completo. A 'sto giro Los Infartos centrano ancor meglio la mira, buttando sul tavolo un impasto cattivello a base di Freak Punk, Garage Beat e Soul Psichedelico sporcato di Hammond e  saturo delle peggiori intenzioni: insomma una ventata energica e postatomica buona per qualsiasi suburbia arrogante.
Adesso attendiamo il prossimo step, vale a dire la riconferma dei valori in campo nel classico formato Lp.






Davide Monteverdi.


giovedì 16 maggio 2019

The Backdoor Society: "The Backdoor Society" (Area Pirata, 2019).


L'album d'esordio dei Backdoor Society è una vera e propria bomba a mano.
Oltre ad essere la diretta dimostrazione che anche la "periferia dell'Impero", nel 2019, può dare vita a musica bellissima, e senza compromessi, con uno sguardo preferenziale per i sixties più selvaggi e genuini.
In questo caso il punto di partenza è il garage psichedelico di scuola olandese/nordeuropea, Q65 e Outsiders in primis, per poi stemperarsi in ritmiche calde e avvolgenti che strizzano l'occhio alla scuola rock/R&B anglosassone di Stones e Pretty Things.
Ed è così che da Piacenza, via Pisa tramite Area Pirata, arrivano questi 12 gioiellini sonici senza tempo, di una freschezza imbarazzante, capaci di far muovere il culo di brutto (come da tempo non ricordavo per altri lavori) grazie all'interpretazione superlativa del quartetto.
Precisa, ficcante, sensuale e totalmente priva di inibizioni.


Ascolta: Pitch Me Out, Lost, Go On Home, Please Don't Worry, Better Than Me.




Davide Monteverdi

domenica 12 maggio 2019

The Trip Takers: "Don't Back Out Now" (Area Pirata, 2019).



Mai come negli ultimi anni l'Italia è stata così prodiga di figliuoli bravi a destreggiarsi nei revivalismi garage/neo psichedelici, sfoggiando una manciata di band ad alta caratura attitudinale e, soprattutto, musicale.
Band come i Trip Takers, ad esempio, che fanno dell'ortodossia sbarazzina e frizzante il loro manifesto estetico.
Confezionando le 10 track di questo album d'esordio, "Don't Back Out Now", in una vellutata macchina del tempo dalle ampie dotazioni analogiche, per dare un taglio retrò/vintage dalla grana raffinata e (volutamente) calligrafica all'intero progetto.
Così che ogni canzone racchiude in sè una piccola istantanea caleidoscopica: scorci di Saville Row e Haight Ashbury che flirtano amabilmente senza mai litigare, tra fiori e visioni, passioni e bagliori cosmici.
Questa è la magia che i Trip Takers ricamano e personalizzano brano dopo brano, lasciando mano libera alla verve psichedelica di viaggiare da un continente all'altro senza pesanti orpelli.
"Don't Back Out Now" si ascolta e si ama dal primo istante, perchè è la colonna sonora perfetta per questa Primavera turbolenta e viziosa.
Ovviamente applausi anche ad Area Pirata, la cui documentazione minuziosa di certe pieghe spaziotemporali ci affranca da ignoranza e grigiore.



Ascolta: Let Me Sail, Don't Back Out Now, Gambin' Gal, Misty Shore.




Davide Monteverdi

venerdì 26 aprile 2019

The Kaams: "Kick It" (Area Pirata, 2019)



Terzo album per il power trio di Bergamo, al 10° anno di attività, che ritorna sulle scene dopo un periodo piuttosto travagliato tra cambi di formazione repentini e momenti compositivi di non facile soluzione.
Le 12, bellissime, tracce del nuovo album sono invece cariche di consapevolezza Garage/Power Pop tanto quanto sono (felicemente) perse tra i fumi lisergici della Neopsichedelia italica, in flirt perenne con la California dei 60's ma al netto del jet lag. Ed ecco che "Kick It" già al secondo ascolto diventa virale, invitando incessantemente a danze sfrenate e conseguente pubblico ludibrio.
Ma noi siamo nati per questo mondo e tanto ci basta: essere in amore per almeno una trentina di minuti stropicciati.
Applausi a scena aperta per Andrea, Marco e Tiziano.



Ascolta: Walk Out The Door, Out Of The Blue, Cold In My Bones, Follow The Sun.




Davide Monteverdi


venerdì 28 dicembre 2018

Marshmallow Overcoat: "Songs From The Motion Picture All You Need Is Fuzz" (Area Pirata, Cd 2018).


Da Tucson a Pisa in 25 tracce e 30 anni di scorribande a zonzo per il pianeta.
Nasce così l'incredibile e bellissimo matrimonio tra i Marshmallow Overcoat e Area Pirata, label che si conferma ancora una volta come solida realtà tricolore a livello internazionale.
Questo "Songs From The Motion Picture All You Need Is Fuzz", oltre a testimoniare il promettente incontro transoceanico, è una sorta di Best Of della creatura garage psichedelica di Timothy Gassen, a 4 anni dal precedente lavoro ufficiale "The Very Best Of": lussuoso packaging, 3 brani nuovi, 7 mai apparsi prima in cd, edizione limitata a 300 copie, un libro di 56 pagine in PDF che riassume i 3 decenni di vita discografica della band dal seminale "The Inner Groove", anno di grazia 1987.
Ma non solo.
E' anche la funzionale colonna sonora del nuovo docufilm girato da Gassen medesimo "All You Need Is Fuzz: 30 Years In A Garage Band" dove il prime mover della scena neo psichedelica statunitense, autore tra l'altro della bibbia di genere Knights Of Fuzz, descrive per immagini la sua missione di pura fede e sacrificio, stelle e stalle in alternanza precaria dove il realismo è implacabile e i sogni di gloria poesie inespresse, in mezzo a rasoiate fuzz e farfisa indomabili.
I Marshmallow Overcoat costruiscono un album prezioso, oltrechè compendio definitivo della loro incredibile carriera e per le generazioni a venire, in cui ogni canzone tesse un legame sonico indelebile e minuzioso tra presente e passato, passando per un crocevia desertico dove coerenza e fanatismo sono le uniche direttrici percorribili.
"Songs From The Motion Picture All You Need Is Fuzz" è un lavoro godibile dal primo all'ultimo secondo, indirizzato a tutti, soprattutto ai fanatici/completist delle sonorità garage paisley più calligrafiche: basta farsi un attimo l'orecchio sulla voce di Timothy talvolta (volutamente) urticante e manierata per poi procedere estasiati fino alla traccia n°25.
I Marshmallow Overcoat, a differenza di molte altre band coeve, non sono stati una meteora nel panorama revivalistico degli anni 80 (e successivi), anzi, hanno lasciato segni tangibili, seppur senza mai graffiare davvero in profondità, del loro percorso artistico. Trovarsi poi fianco a fianco con band fenomenali come Miracle Workers, Fuzztones, Chesterfields Kings e Morlocks non ha sicuramente aiutato la loro ascesa nel firmamento Garage.
A noi va comunque benissimo così, perchè ciò che era considerato repertorio "minore" una volta oggi, nel 2018, diventa magicamente oro zecchino preziosissimo.
I Wish It Could Be 1965 Again (or 1985).

Davide Monteverdi.






martedì 22 maggio 2018

THE SCRUBS: "Skulls And Dolls" (Area Pirata, 2018).


In certe situazioni parla la Musica ed è più che sufficiente.
Gli Scrubs da Lodi confezionano un album d'esordio semplicemente PERFETTO.
Tredici tracce originali più la cover di "Be A Caveman" degli Avengers (no, non quelli di Penelope Houston) che inquadrano il fenomeno Garage Punk nella sua essenza 2.0: nessuna sbavatura, nessuna ingenuità, genuinità a pacchi, suoni taglienti e precisi che rendono un doveroso tributo (e nulla più) al revival 80's più che ai 60's di riferimento.
25 minuti che scorrono via come una pinta di birra ghiacciata, dove i link musicali sono altissimi e rispondono al nome di Sonics, Miracle Workers, Chesterfield Kings, Plan 9, Gravedigger V, Sick Rose, Fuzztones, Lyres tra quelli che vengono in mente ai primi furibondi ascolti.
"Skulls And Dolls" sembra provenire da un altro universo, da una galassia dove tutto è pace e amore, musica e gare di impennate, sbronze e onde sfavillanti.
Lodi, lo capite? Lodi, e poteva tranquillamente essere Portland, Los Angeles, Austin, Londra, Goteborg o Atene.
Tanto il linguaggio utilizzato dalla band è internazionale sia come background sonico che come attitudine generale che i minuti della tracklist tratteggiano con dovizia di particolari.
Ecco, gli Scrubs sono la Tempesta perfetta o perlomeno ne annunciano, beffardamente, l'arrivo prossimo venturo.
Bravo Massimo Robbi, bravi tutti i kids a costruire un album IMPRESCINDIBILE per chi mangia pane e garage tutti i giorni. Dove vocals, chitarre, Farfisa e sessione ritmica giocano con assoluta scioltezza un altro sport, travolgendo tutto e tutti con l'entusiasmo dei primi giorni di scuola!
Grazie Scrubs, grazie Area Pirata e ha pure smesso di piovere.
"Skulls And Dolls" esce su cd in tiratura limitata a 500 copie.
Troppo poche? Speriamo di sì!





Davide Monteverdi








giovedì 17 maggio 2018

PLUTONIUM BABY: "BLAST! Sci-Fi Music For Contemporary Freaks, Area Pirata 2018)


Ce ne vorrebbero molti di più di album come "Blast! Sci-Fi Music For Contemporary Freaks".
Con l'obbligo di ascoltarli fin dalla prima colazione, proprio come sto facendo io ora, per capire fino in fondo quanto certi suoni siano necessari all'inquieto vivere di noi rockers senza vergogna.
La band capitolina trova la micidiale quadratura in queste nuove 12 tracce mixate da Wolfman Bob e uscite a Marzo, che richiedono un immediato on repeat sul lettore quasi liquefatto da cotanta energia esplosiva.
I protagonisti di questa gioiosa furia, nonchè party harder bardati di pelle e borchie, sono Fil Sharp (synth, voce, chitarra), Feith Da Grave (batteria) e soprattutto Black Guitarra (voce, chitarra, synth) la frontwoman che tutto può, compreso afferrarti per le palle e scagliarti ad anni luce di distanza con il sorriso stampato in faccia.
I Plutonium Baby fanno musica difettata, dilaniata, slabbrata, postnucleare.
Vale a dire il meglio di ciò che si può suonare oggi quando nel DNA hanno sedimentato i 60's più oscuri mixati a pericolose derive dai decenni successivi: Mummies, B52's, Trashmen, Cramps, Devo, Jay Reatard, X Ray Spex, Rip Offs, Man Or Astroman?, Suicide
Ovvero il Gotha dello Psycho Garage  Punk più genuino e autentico dalla creazione di questo pianeta.
"Blast!" dura una mezzoretta e questo, probabilmente, è l'unico neo dell'intero progetto: infatti quando arrivi alla fine di "Highway Hypnosis" è ovvio che ne brami di più, sempre di più, con la cupidigia ingestibile di chi ha goduto bene e vuole continuare a spargere orgasmi qua e là in totale anarchia.
I Plutonium Baby ci sanno fare di brutto. E colpiscono nel segno perchè reinterpretano, con personalità e ironia, canoni musicali già ampiamente sfruttati svicolando però, abilmente, dai dannosi clichè di genere.
Comprare, comprare, comprare.







Davide Monteverdi.

martedì 24 aprile 2018

HOT SNAKES: "JERICHO SIRENS" (Sub Pop, 2018).



L'indiscutibile talento di Rick Froberg e John Reis è tutto qui, in "Jericho Sirens".
Il nuovo, quarto, album per gli Hot Snakes o meglio il primo dal 2005, data del loro improvviso scioglimento, nonostante siano ritornati blandamente in azione già dal 2011 con una manciata di esibizioni live.
Quattordici anni, se la matematica non è un'opinione, e come si dice non sentirli in assoluto, soprattutto mettendo mani e orecchie alle 10 bordate della tracklist: nessuna concessione, nessuna titubanza, nessun calo di tensione o creatività, ma l'esatto contrario
"Jericho Sirens" è, infatti, l'evoluzione naturale del suono incrociato di Drive Like Jehu e Rocket From The Crypt, dopato di testosterone e furia cieca, bipolare ma in controllo quasi manicacale.
"Hardcore Garage Punk" ne ha saggiamente scritto qualcuno centrando il punto: un mix letale cui aggiungere l'amore bruciante in primis per i Wipers, poi per i Suicide, At The Drive In, Nomeansno, New Bomb Turks, Swans e Shellac, ricomposti sadicamente in un mosaico preciso dai bordi taglienti come rasoi.
Per l'esordio su Sub Pop (che ristamperà a breve l'intero catalogo della band di San Diego) Rick e John mettono prima mano alla line up originale coinvolgendo tutti gli attori del recente passato, compresi i due batteristi Jason Kourkounis (Delta 72) e Mario Rubalcaba (Earthless, Off!) oltre al bassista Gar Wood, affidandosi quindi alle indiscusse capacità del fido Ben Moore in fase di produzione.
Ne esce una bomba a frammentazione devastante a tutti i livelli.
Detto per inciso non siamo in odore di una qualsivoglia operazione Nostalgia, perchè gli Hot Snakes hanno mantenuto il piglio "in your face" al netto di qualsiasi compromesso commerciale: suonano davvero e lo fanno benissimo rivitalizzando con ottima sinergia suoni e liriche di un genere col fiato corto da anni.
Poco importa quanto siano angolari, brutali, veloci, ironici e urticanti.
A loro non glien'è mai fregato un cazzo della moda, tantomeno di suonare al Coachella.
Davvero, è tutto bellissimo, ma "I Need A Doctor", "Six Wave Hold-Down", "Jericho Sirens" di più!







Davide Monteverdi

mercoledì 18 aprile 2018

THE SICK ROSE: "Someplace Better" (Area Pirata, 2018).


Il 35° anno di vita dei Sick Rose ci regala anche il loro 7° album.
"Someplace Better", sottotitolato "A Metaphoric Journey In Search Of A Better Place", ci restituisce una band (rimangono solo Luca Re e Diego Mese del nucleo originario) carica di nuove idee, nuovi percorsi e suoni ibridi tra il vecchio corso, più sporco e stradaiolo e questo nuovo, evoluto verso lidi roots e neopsichedelici.
Grazie all'intervento in sede di mixaggio e produzione di un pezzo da 90 come Ken Stringfellow, già con Posies R.E.M. e Big Star, e di una verve compositiva generale in grande spolvero.
"Someplace Better" è un album super solare e divertente, le cui 11 tracce tutte orginali contribuiscono ad alimentare il (giusto) mito di cui i Sick Rose godono in Italia e nel resto del mondo.
Insomma stiamo a parlare di un'eccellenza tricolore che meriterebbe un proscenio "pesante" e dal respiro sicuramente globale, nonostante la mia prima impressione è che i kids non siano tanto interessati a battaglie di ego e aereoporti, quanto a stigmatizzare con il loro sound sferragliante una compattezza e corenza raramente riscontrabili.
Bravissimi sì, ma brava anche Area Pirata a sovrintendere il progetto con una visione d'insieme e strategica fuori dal comune per una label indipendente, soprattutto in tempi non semplici come questi.
Parliamo di un packaging molto bello (merito del chitarrista Giorgio Cappellaro) e, as usual, di un'uscita in tiratura limitata sia in vinile che in cd.






Davide Monteverdi