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giovedì 2 dicembre 2021

Polvere Di Pinguino: "Stand By The Dream" (Area Pirata, Cd '21)


Polvere Di Pinguino.
Che nome bizzarro per una band che nulla c'azzecca con (presunti) vagheggiamenti psichedelici o progressive. O meglio rimesta sì nel torbido dei primi in alcuni episodi, ma unicamente per abbassare i giri e rifiatare dopo le continue scaramucce a colpi di rock and roll bastardo, figlio degenerato dei Sixties, come dei Seventies (magari anche Eighties), più malati e rissaioli.
E' così che il quintetto di Carrara - attivo dai primi anni 80 fino allo scioglimento del 1992 - entra sbuffando nel contenitore "Garage Revival" preso per mano da una parte del giornalismo militante fin dagli albori, sedendo però comodamente in disparte e senza dare particolare confidenza a nessuno.
All'attivo ci sono alcune reunion, un paio di album, un singolo e un ep che incideranno il loro nome nel muro tricolore delle leggende misconosciute, bagnate di ogni fluido corporeo possibile ma non dalla gloria imperitura.
A questo prova a porre rimedio Area Pirata, sempre più intraprendente nell'opera di recupero degli Unsung Heroes del nostro recente passato, stampando per l'appunto "Stand By The Dream".
Qualcosa che va al di là della semplice operazione di assemblaggio sonoro, e che anzi tratteggia nuovi margini di approfondimento per un periodo storico/musicale che oggi si merita questa riconfigurazione netta  in termini di diffusione e narrazione.
Tranne il primo sette pollici - con la strepitosa cover di "Alabama Song" - qua presente nella sua veste ufficiale, nella tracklist di "Stand By The Dream" trovano spazio solo le demo di alcuni brani - tra cui "Trash It Baby" e "Back To Zero" fino ad oggi inediti assoluti - poi finiti rispettivamente su "Polvere Di Pinguino" del 1988 e "Leggi E Allucinazioni" del 1992 in versioni rimaneggiate, più quattro tracce live registrate al CSOA Kronstadt (con una "I Wanna Be Your Dog" da urlo) totalizzando 17 bombe stordenti collegate tra loro da un crescendo espressivo destinato, ahinoi, ad implodere.
Ecco dunque l'istantanea nuda e cruda dei Polvere Di Pinguino al netto di ogni parrucca: una band compatta, sicura dei propri mezzi espressivi a tratti selvaggi, fluida nel navigare tra reminescenze punk e hard quanto mai dimentica delle radici, incredibilmente sottovalutata nonostante l'impatto sonico e l'affinata sensibilità nel coniugare irruenza e perizia tecnica, liriche e panorami musicali di grande intensità.
Una spanna sopra a tutto la voce di Luca Ratti - alias "Lungo" - sorta di Danzig autoctono in crisi d'identità, incapace di decidere quale padre adottivo scegliersi tra Jim Morrison e Iggy Pop.
"Stand By The Dream" esce in cd a tiratura limitata di 300 copie con una lussuosa confezione gatefold all'interno della quale si può curiosare tra immagini inedite, note sfiziose e chicche varie.
Sorprendente!

Ascolta: "Stand By The Dream", "Trash It Baby", "Girls Like Vampires", "Yours Not Ours".







Davide Monteverdi.

giovedì 28 febbraio 2019

ORVILLE PECK: "PONY" (SUB POP, 2019).


Esce il 22 Marzo l'esordio di Orville Peck per la sempre più eterodossa Sub Pop di Seattle.
Anche "Pony" infatti rientra nell'operazione (intelligente) della label di incontrare nuovo pubblico e potenziali acquirenti, accaparrandosi le "New Sensations" dell'universo "Alternative" al netto di preclusioni mentali, limiti espressivi e clichè sonori. Strategia che si è rilevata negli anni assolutamente vincente, nonchè caposaldo fondamentale della sua resurrezione post Grunge.
Non si sottrae a questo percorso virtuoso nemmeno il crooner mascherato specializzato nella narrazione di amori spezzati, vendette cariche di ebbrezza, corse nel deserto e risse in bar malfamati che ti si attaccano alla pelle e ti infettano il sangue.
Complice un blend sonico/visivo incredibilmente vario che incorpora le tradizioni country a stelle e strisce e l'immagine uber cool, e vincente, del cowboy 3.0, l'attitude shoegaze e le ballate amniotiche che sembrano uscite dagli script alieni de "La Guerra Dei Mondi" o di "Cowboys & Aliens".
Orville fa di tutto, e di più, nelle 12 tracce che riempiono "Pony" nel vero senso della parola: si sposta dalle Badlands del Nord America al polveroso confine Tex Mex attraversando i Canyon, con in testa l'idea meravigliosa di creare un Golem innamorato tanto di Elvis, Johnny Cash, Chris Isaak  e Twin Peaks quanto di mezza 4AD, J&MC, Soft Cell e Feelies, così per dire, sfiorando a tratti il grottesco e caricaturale senza mai cadere, però, nel tranello dell'autoreferenzialità spinta.
Il Cavaliere Misterioso è il James Crumley della situazione.
Solo che al posto di pistole, coca e whisky a fiumi, preferisce alternare silenzi atmosferici alla steel guitar, tamburi inquieti a tastiere e banjo,  lasciando che siano loro ad argomentare la quotidianità corrotta.
Insomma "Pony" è così, vagamente citazionista ed altamente erotico.
Prendere o lasciare.
Arriva indenne fino a "Nothing Fades Like The Light", epitaffio perfetto, poi ne riparliamo!









Davide Monteverdi