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venerdì 19 maggio 2023

Elli De Mon: "Pagan Blues" (Area Pirata, Cd 2023).

 


Certa musica non andrebbe discussa, scritta, sezionata con la testa, andrebbe solo e unicamente ascoltata in religioso silenzio con l'anima spalancata e sincera.
D'altronde non è un mistero che ami Elli De Mon (al secolo Elisa De Munari) e la musica inquieta e profonda che disperde nei meandri emozionali di chi l'ascolta, e infatti avevo scritto del bellissimo Countin' The Blues proprio QUA qualche tempo fa.
Quindi è con un pò di sorpresa, e altrettanta eccitazione, che mi trovo per le mani questo "Pagan Blues" la seconda tappa della collaborazione/alleanza tra la poliedrica artista vicentina e Area Pirata, la leggendaria label pisana che sta stravolgendo il panorama musicale tricolore con le sue produzioni di qualità. 
Pubblicato verso la fine di Aprile è il settimo sigillo discografico della "one woman band" - come Elisa ama definirsi nelle interviste - e probabilmente il più profondo, contrastato, doloroso e catartico della sua intera carriera, intriso com'è dei suoi tumulti interiori
Nove composizioni che recitano un Blues sofferto che striscia sanguinante e indomito nelle paludi della Psichedelia, dello Swamp Rock più corrosivo, del Rock And Roll meticcio di ritualismi sciamanici, mostrandone le cicatrici vive sulla propria pelle di serpente con fierezza, come fossero trofei dal valore inestimabile.
"Pagan Blues" è questo e altro ancora, ma è soprattutto un' Esperienza Esistenziale Totale.
Un viaggio amniotico nelle lande dimenticate dal tempo, dove sofferenza e disperazione incrociano le armi quotidianamente con la speranza di rimettersi finalmente in piedi, per quel che è l'eterna lotta di stabilizzare l'equilibrio precario della bilancia cosmica.
C'è anche tutta l'insofferenza e la ribellione di una sopravvissuta nel succo del Blues Pagano: nei confronti delle consuetudini, delle ortodossie, dei moralismi, e i territori marchiati a fuoco sono gli stessi che ancora rimbombano degli echi di PJ Harvey, Jon Spencer, Gun Club, Bessie Smith e di molti altri cantori della diversità che abbiamo imparato ad amare.
"Pagan Blues" rimette in pace con il mondo capovolto che ci troviamo a calpestare, la verità è questa senza tanti giri di parole.
E se a qualcuno può sembrare un rito di passaggio, non sbraiti poi alla ricerca di una medicina che sia salvifica.

Ascolta: "I Can See You", "Catfish Blues", "Ticking", "Siren's Call".







Davide Monteverdi.


giovedì 28 febbraio 2019

ORVILLE PECK: "PONY" (SUB POP, 2019).


Esce il 22 Marzo l'esordio di Orville Peck per la sempre più eterodossa Sub Pop di Seattle.
Anche "Pony" infatti rientra nell'operazione (intelligente) della label di incontrare nuovo pubblico e potenziali acquirenti, accaparrandosi le "New Sensations" dell'universo "Alternative" al netto di preclusioni mentali, limiti espressivi e clichè sonori. Strategia che si è rilevata negli anni assolutamente vincente, nonchè caposaldo fondamentale della sua resurrezione post Grunge.
Non si sottrae a questo percorso virtuoso nemmeno il crooner mascherato specializzato nella narrazione di amori spezzati, vendette cariche di ebbrezza, corse nel deserto e risse in bar malfamati che ti si attaccano alla pelle e ti infettano il sangue.
Complice un blend sonico/visivo incredibilmente vario che incorpora le tradizioni country a stelle e strisce e l'immagine uber cool, e vincente, del cowboy 3.0, l'attitude shoegaze e le ballate amniotiche che sembrano uscite dagli script alieni de "La Guerra Dei Mondi" o di "Cowboys & Aliens".
Orville fa di tutto, e di più, nelle 12 tracce che riempiono "Pony" nel vero senso della parola: si sposta dalle Badlands del Nord America al polveroso confine Tex Mex attraversando i Canyon, con in testa l'idea meravigliosa di creare un Golem innamorato tanto di Elvis, Johnny Cash, Chris Isaak  e Twin Peaks quanto di mezza 4AD, J&MC, Soft Cell e Feelies, così per dire, sfiorando a tratti il grottesco e caricaturale senza mai cadere, però, nel tranello dell'autoreferenzialità spinta.
Il Cavaliere Misterioso è il James Crumley della situazione.
Solo che al posto di pistole, coca e whisky a fiumi, preferisce alternare silenzi atmosferici alla steel guitar, tamburi inquieti a tastiere e banjo,  lasciando che siano loro ad argomentare la quotidianità corrotta.
Insomma "Pony" è così, vagamente citazionista ed altamente erotico.
Prendere o lasciare.
Arriva indenne fino a "Nothing Fades Like The Light", epitaffio perfetto, poi ne riparliamo!









Davide Monteverdi