Esce il 22 Marzo l'esordio di Orville Peck per la sempre più eterodossa Sub Pop di Seattle.
Anche "Pony" infatti rientra nell'operazione (intelligente) della label di incontrare nuovo pubblico e potenziali acquirenti, accaparrandosi le "New Sensations" dell'universo "Alternative" al netto di preclusioni mentali, limiti espressivi e clichè sonori. Strategia che si è rilevata negli anni assolutamente vincente, nonchè caposaldo fondamentale della sua resurrezione post Grunge.
Non si sottrae a questo percorso virtuoso nemmeno il crooner mascherato specializzato nella narrazione di amori spezzati, vendette cariche di ebbrezza, corse nel deserto e risse in bar malfamati che ti si attaccano alla pelle e ti infettano il sangue.
Complice un blend sonico/visivo incredibilmente vario che incorpora le tradizioni country a stelle e strisce e l'immagine uber cool, e vincente, del cowboy 3.0, l'attitude shoegaze e le ballate amniotiche che sembrano uscite dagli script alieni de "La Guerra Dei Mondi" o di "Cowboys & Aliens".
Orville fa di tutto, e di più, nelle 12 tracce che riempiono "Pony" nel vero senso della parola: si sposta dalle Badlands del Nord America al polveroso confine Tex Mex attraversando i Canyon, con in testa l'idea meravigliosa di creare un Golem innamorato tanto di Elvis, Johnny Cash, Chris Isaak e Twin Peaks quanto di mezza 4AD, J&MC, Soft Cell e Feelies, così per dire, sfiorando a tratti il grottesco e caricaturale senza mai cadere, però, nel tranello dell'autoreferenzialità spinta.
Il Cavaliere Misterioso è il James Crumley della situazione.
Solo che al posto di pistole, coca e whisky a fiumi, preferisce alternare silenzi atmosferici alla steel guitar, tamburi inquieti a tastiere e banjo, lasciando che siano loro ad argomentare la quotidianità corrotta.
Insomma "Pony" è così, vagamente citazionista ed altamente erotico.
Prendere o lasciare.
Arriva indenne fino a "Nothing Fades Like The Light", epitaffio perfetto, poi ne riparliamo!
Davide Monteverdi
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