domenica 20 novembre 2016

CACAO: "ASTRAL" (Brutture Moderne, cd 2016).


Bravi Diego Pasini (Ronin) e Matteo Pozzi (Mavritius).
hanno confezionato un album che, preso e messo sul lettore, catalizza in 10 secondi l'attenzione.
Conta solo questo, il resto è aria fritta.
Conta il cuore, lo stile, la coerenza, il piacere di creare suoni che vestano bene.
Tutti.
Indistintamente.
Come un ottimo vino d'annata.
Una cena tra amici.
La domenica pomeriggio indolente.
"Astral" vibra in ognuno dei 10 pezzi che lo compongono.
Strumentali fuori dal tempo, fuori da ogni latitudine.
Come se le distanze contassero solo per chi non vuole vivere realmente.
Un basso, una chitarra per piccole storie laterali di elettronica analogica.
Umana oltre l'umano.
E se la "pancia" conta più del cervello i Cacao, in versione live, rasenteranno per certo l'allineamento tra le dimensioni.





Davide Monteverdi.





domenica 13 novembre 2016

HALEY BONAR: "IMPOSSIBLE DREAM" (Memphis Ind. 2016)


La bellezza della domenica pomeriggio è impareggiabile.
Non esiste sabato sera, o festa comandata, che regali la medesima immobilità totale, certi bilanci in agrodolce, e risate più schiette dal profondo della provincia invernale.
Bello essere avvolto dalla casa calda, la cucina che borbotta dietro le spalle, e la musica giusta che irradia dalle casse senza una precisa collocazione.
Un quadretto perfetto dove la luce grigia ricopre ogni cosa e il pigiama profuma di sonno.
Comincia così la lunga planata verso il lunedì mattina.
Con Haley Bonar, che è un pò il centrifugato bio di tutte queste istantanee: un pugno di canzoncine lievi, ma non troppo, che ti si cuciono addosso come l'abito del matrimonio.
La forma migliore in un pugno di ricordi indelebili.
"Impossible Dream" io lo sento così, con qualche vertigine qua e là, nel modo di rapportarsi alla quotidianità con leggerezza e impegno in perfetta parità. O, se preferite, è lo scivolo ideale per  svicolare tra le pieghe della vita senza ferirsi troppo, e se c'è un camino acceso ancora meglio.
Hope Sandoval sembrerebbe essere il primo riferimento, inconscio o meno, di Haley che comunque se ne sbarazza brillantemente in 10 step articolati con misura ed eleganza.
Piacevole.






MEMPHIS INDUSTRIES


Davide Monteverdi.




sabato 12 novembre 2016

ME X KING CRIMSON live @ Arcimboldi x Rolling Stone Italia



Qualcuno tra noi, oggi, se la sente ancora di annunciare pubblicamente che tutti i dinosauri sono davvero estinti? Scomparsi proprio tutti dalla faccia della terra?
Soprattutto dopo che gli “ultimi” sette, magnifici, esemplari hanno messo a ferro e fuoco l’Arcimboldi di Milano con una doppietta live da urlo e sold out ampiamente anticipati? Di sicuro i punk non si immaginavano questo come il futuro di una volta, vale a dire il peggiore scenario possibile nella loro idea estetica di rivoluzione musicale. Al punto che band come i King Crimson fanno tuttora il vuoto in scia, riempiono teatri in tutto il mondo, suonano per quasi tre ore a data sconvolgendo così ogni pronostico, ogni improvvisazione disordinata, ogni semplice equazione da bar.
La creatura di Robert Fripp, concetto arcaico se si bada all’essenza vera e aperta di quello che da anni si è trasformato in un b(r)and a tutti gli effetti, si presenta in orario sul palco e compatta come non mai. Le tre batterie (avete capito bene) di Pat Mastelotto, Gavin Harrison e Jeremy Stacey, in prima fila sul palco, costituiscono l’avanguardia sonica cui seguono leggermente defilati il buon Fripp, Jakko Jakszyk, voce e seconda chitarra, Tony Levin ai bassi, e il formidabile Mel Collins ai fiati.
Più che un gruppo musicale i King Crimson danno l’idea di una falange spartana in pieno assetto da combattimento, dove alle armi si sostituiscono strumenti del tutto equivalenti nelle loro finalità: zittire gli astanti e raderne al suolo ogni resistenza fisica e psicologica. E così è! Grazie al carisma acquisito in cinque decadi di attività che trasforma ogni atto in un gioco da ragazzi: standing ovation a go go, gestione millimetrica degli spazi e dei tempi, esecuzione impeccabile e consueta, discutibile, rigidità nel pretendere la massima attenzione dagli spalti, vietando ogni tipo di interazione del pubblico con appendici elettroniche.
Nessuno fa una piega, ovvio, perché non ce n’è il tempo: loro suonano a rullo e noi godiamo di conseguenza, perché la tracklist della serata sfiora la perfezione dogmatica. Tastando tutti gli album o quasi. Un viaggio nel viaggio affrontato con la sicurezza sfacciata di chi si può permettere inni immortali e catartici come Epitaph21St Century Schizoid Man con l’assolo centrale di Gavin Harrison che vale l’intero prezzo del biglietto, per poi passare a Cirkus e Dawn Songdall’album Lizard quasi mai affrontato dal vivo, a RedPictures Of A CityEasy MoneyVroomStarless per un totale di venticinque cavalcate emozionali.
Da qui la sensazione che i King Crimson più che dinosauri, seppur ben conservati, siano veri e propri alieni. Ieri come oggi. Ma domani sicuramente.



giovedì 10 novembre 2016

AREA PIRATA PARTE 3 - LA MUSICA ITALIANA.


Gentlemens: "Hobo Fi"


I Gentlemens da Ancona hanno deciso di alzare il livello della sfida, buttando in un solo album 13 bombe a mano. Vale a dire un centrifugato schizoide di canzoncine grezze, slabbrate, con la mente ai Dirtbombs e a certe cosucce oscure di scuola Rip Off che a volume fanno sanguinare le orecchie e muovere i genitali. 
Il Diavolo probabilmente abita da quelle parti e agita la coda con veemenza, rimembrando incroci bui sul Mississippi, secchi di piscio caldo e voci al vetriolo.
Ecco i Gentlemens ci sono passati più volte da quell'incrocio polveroso, così come dal CBGB, dalla California tossica di fine '70, per fermarsi a suonare il campanello di Jon Spencer maestro di distorsioni blues.
In definitiva questo "Hobo Fi" è disturbante quanto basta e con l'allegria stampata in faccia di chi ne ha viste tante. Una sorta di promemoria stampato a fuoco che recita, pagina dopo pagina, quanto valga la pena vivere su strade prossime all'oblio.

(Sia l'edizione in vinile che quella in cd digipack sono limitate a 300 copie).





The Barbacans: "A Monstrous Self-Portrait"


A dire il vero non saprei argomentare molto su Fano, luogo di provenienza dei nostri beniamini, a parte che è un coacervo di buona musica ormai da decenni .
E i Barbacans non si sottraggono a questa definizione, anzi, le danno nuovi contorni sgargianti con il loro Farfisa Sound, che a volte sembra un acido discreto sulla lingua di un nerd a caso.
"A Monstrous Self-Portrait" è il loro 3° album e si muove sinuoso sulle rotte di "Back From The Grave e quelle cose lì: qualche stilettata psych alla Morlocks e Seeds, qualche spruzzata di Music Machine, Crimson Shadows e Fuzztones, un paio di vocal che ricordano l'Ozzy dei bei tempi andati. Insomma, il suono c'è, il vinile anche con le sue 300 copie da collezionisti duri, ma nulla mi toglie la convinzione dopo il 20° ascolto consecutivo che questi maledetti Barbacans, dal vivo, siano ancora più devastanti perchè liberi di galoppare sul serio.





Davide Monteverdi.