Visualizzazione post con etichetta Wipers. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta Wipers. Mostra tutti i post

martedì 24 aprile 2018

HOT SNAKES: "JERICHO SIRENS" (Sub Pop, 2018).



L'indiscutibile talento di Rick Froberg e John Reis è tutto qui, in "Jericho Sirens".
Il nuovo, quarto, album per gli Hot Snakes o meglio il primo dal 2005, data del loro improvviso scioglimento, nonostante siano ritornati blandamente in azione già dal 2011 con una manciata di esibizioni live.
Quattordici anni, se la matematica non è un'opinione, e come si dice non sentirli in assoluto, soprattutto mettendo mani e orecchie alle 10 bordate della tracklist: nessuna concessione, nessuna titubanza, nessun calo di tensione o creatività, ma l'esatto contrario
"Jericho Sirens" è, infatti, l'evoluzione naturale del suono incrociato di Drive Like Jehu e Rocket From The Crypt, dopato di testosterone e furia cieca, bipolare ma in controllo quasi manicacale.
"Hardcore Garage Punk" ne ha saggiamente scritto qualcuno centrando il punto: un mix letale cui aggiungere l'amore bruciante in primis per i Wipers, poi per i Suicide, At The Drive In, Nomeansno, New Bomb Turks, Swans e Shellac, ricomposti sadicamente in un mosaico preciso dai bordi taglienti come rasoi.
Per l'esordio su Sub Pop (che ristamperà a breve l'intero catalogo della band di San Diego) Rick e John mettono prima mano alla line up originale coinvolgendo tutti gli attori del recente passato, compresi i due batteristi Jason Kourkounis (Delta 72) e Mario Rubalcaba (Earthless, Off!) oltre al bassista Gar Wood, affidandosi quindi alle indiscusse capacità del fido Ben Moore in fase di produzione.
Ne esce una bomba a frammentazione devastante a tutti i livelli.
Detto per inciso non siamo in odore di una qualsivoglia operazione Nostalgia, perchè gli Hot Snakes hanno mantenuto il piglio "in your face" al netto di qualsiasi compromesso commerciale: suonano davvero e lo fanno benissimo rivitalizzando con ottima sinergia suoni e liriche di un genere col fiato corto da anni.
Poco importa quanto siano angolari, brutali, veloci, ironici e urticanti.
A loro non glien'è mai fregato un cazzo della moda, tantomeno di suonare al Coachella.
Davvero, è tutto bellissimo, ma "I Need A Doctor", "Six Wave Hold-Down", "Jericho Sirens" di più!







Davide Monteverdi

martedì 20 giugno 2017

Chastity Belt: "I Used To Spend My Time Alone" (Hardly Art, 2017)



"I Used To Spend My Time Alone" è il terzo lavoro di studio per le Chastity Bell.
Ed è un album affascinante. Sotto ogni punto di vista.
Una sorta di vademecum per chi volesse assaporare la magia delle sonorità indie degli anni 90, al di là dei revival vuoti e semplicistici.
Già dall'incipit "Different Now" senti riverberi di Pavement, Wipers (originari di Portland, Oregon, dove si trovava lo studio di registrazione di questa session), Nirvana, Sonic Youth, e ne cito così pochi per via dello spazio, non per mancanza (loro) di ispirazione.
E sì, le cadenze un pò slacker e un pò shoegaze del combo ora in pianta stabile a Washington mi piacciono tantissimo.
Ci sono 10 canzoni più 3 bonus tracks in questo "I Used To Spend My Time Alone" ed ognuna raccoglie una piccola storia, a volte bella a volte no, che ti rapisce l'anima.
Di mattina come a notte fonda.
Perchè quella voce lì, con quelle chitarrine lì possono sembrare immobili, ma trapanano il cuore come nessun'altro nell'afa di Giugno quasi estate.
L'applauso globale va a "5AM", l'episodio che chiude formalmente la tracklist e che molla un paio di schiaffi energici a difese abbassate, un mix perfetto e commovente tra i primi Cure e le malie chitarristiche dell'indimenticabile Greg Sage.
Approvato!

Davide Monteverdi