Visualizzazione post con etichetta Nirvana. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta Nirvana. Mostra tutti i post

lunedì 28 dicembre 2020

METZ: "Atlas Vending" (Sub Pop, Cd 2020).


C'è un che di catartico che scaturisce dall'ascolto di "Atlas Vendor".
Un pugno in faccia con il potere, non indifferente, di disinfettare le sinapsi e attivare simultaneamente i lobi cerebrali.
Il quarto album del power trio canadese - originario di Ottawa e oggi in pianta stabile a Toronto - conferma infatti il suono spigoloso, ossessivo, claustrofobico dei lavori precedenti, ma lascia anche intravedere - per la prima volta nel cursus honorum dei Metz - un tentativo strutturale di melodia e accessibilità delle composizioni. Detto così, per chi conosce i loro trascorsi sonici, può anche far sorridere la cosa.
La (presunta) patente di "maturità" che viene affibbiata ogniqualvolta gli artisti evolvono, smettendo di punto in bianco i panni di "giovani" caotici e impertinenti per diventare "adulti". Come se occorresse scusarsi pubblicamente mentre l'estetica musicale muta in maniera via via più ordinata, potabile e articolata.
I fan si considerino avvisati. 
Sono queste le dinamiche primordiali che attraversano le 10 canzoni del combo - vera e propria escalation concettuale tra nascita e morte, amore e alienazione, redenzione e psicosi da social media, tensioni sociali e autoconservazione - legate indissolubilmente in un perimetro predefinito, ora di ampio respiro.
Dove l'ordito degli strumenti si esalta in progressione per tutti i (quasi) 40 minuti di durata dell'album.
La chitarra lancinante di Alex Edkins diventa un tutt'uno con le liriche impastate di nichilismo e impellenza, la batteria di Hayden Menzies pulsa metronomica e marziale, il basso di Chris Slorach è tellurico e funzionale alla sezione ritmica con riempimenti e latenze improvvisi, conferendo ad "Atlas Vendor" quadratura ed essenzialità preziose a farne l'opera miliare dell'intera discografia. 
Un occhio al presente, uno  al passato.
I fraseggi angolari, gli orizzonti mercuriali, la furia postcore e le volute noise quelli restano - eccome se restano - ma l'equilibrata co-produzione di Ben Greenberg, e il lavorio in studio di Seth Manchester, ci restituiscono la fotografia di una gruppo mai così dinamico e intenso, consapevole dei propri mezzi e artisticamente rivolto a nuovi sviluppi.
E' il 9 Ottobre 2020 quando i Metz e la Sub Pop - a 8 anni precisi dal loro esordio discografico - buttano sul mercato la miglior colonna sonora possibile per l'annus horribilis che stiamo vivendo.
Coincidenza?
Crocevia?
Destino?
Certo è che i loro riferimenti musicali, seppur destrutturati e diluiti nel minutaggio, affiorano ripetutamente nella loro riconoscibilità sanguigna:  Jesus Lizard, Shellac, Sonic Youth, Dischord, Amphetamine Reptile e - come no - Nirvana.
Motivi di vanto che con tenacia si sostituiscono ai mormorii, una sfida decisa agli appunti velenosi che li hanno accompagnati per tutta, o quasi, la loro carriera.
"Atlas Vendor" è dunque una porta che si apre su orizzonti lontani, il sapore dell'orgoglio e dell'identità espressiva ormai stabilizzata in tutte le sue componenti, uno specchio esploso che rimanda l'immagine caleidoscopica di un trio coeso ma polimorfo.
L'apparenza di questo enorme lavoro non deve essere però fraintesa: non c'è nulla di consolatorio o che odori un minimo di pacificazione qua, non c'è alcuna velleità "pop" o lieto fine. 
Al di là del nuovo ordine "melodico", infatti, è la costante tensione psicologica a sublimare ascolto dopo ascolto.
Nonostante due capolavori come "No Ceiling" e "A Boat To Drown In" ambiscano a riportarci a galla: il primo un essenziale e fulmineo dejà vu, il secondo un'inaspettata cavalcata (quasi 8 minuti) dove "Daydream Nation" e lo Shoegaze copulano con reciproca soddisfazione sui titoli di coda.

ASCOLTA: "Pulse", "Hail Taxi", "Framed By The Comet's Tail".








Davide Monteverdi.


martedì 9 luglio 2019

VERSING: "10000" (Hardly Art, 2019)


"10000" è il nuovo, secondo, lavoro di studio per il quartetto di Seattle guidato dal carismatico cantante e chitarrista Daniel Salas, che con le sue 13 tracce ci conduce per mano in un passato recente e glorioso. Quegli anni 90 che hanno marchiato a fuoco almeno un paio di generazioni turbolente di teenagers, in un saliscendi schizofrenico tra melodie e rumore, ordine e caos, autodistruzione e catarsi.
Tutti i riferimenti sonori di questo album prendono ossigeno, di fatto, dall'epopea alternative rock di quel decennio, rimodulati però secondo un linguaggio corrente (seppur rispettoso delle tradizioni) declinabile con la sensibilità delle nuove generazioni di ascoltatori.
Le tracce di "10000" scorrono bene dall'inizio alla fine, abbandonando nelle sinapsi schegge elettriche di Pavement, Dinosaur Jr, Sonic Youth e tutta quella roba lì college rock a stelle e strisce, con in più una strizzatina d'occhio alla coeva scena shoegaze psichedelica inglese.
Insomma nulla di nuovo sotto il sole dell'indie sound (tantomeno dalla rigogliosa Seattle), ma "10000" è un album che si fa ascoltare con rinnovata curiosità: di sicuro non impatterà sul corso della storia, ma può ambire a guadagnarsi lo status di gioiellino incompreso all'interno della scena.


Ascolta: "Entryism", "Tethered", "By Design", "In Mind", "Sated".



Davide Monteverdi.


martedì 20 giugno 2017

Chastity Belt: "I Used To Spend My Time Alone" (Hardly Art, 2017)



"I Used To Spend My Time Alone" è il terzo lavoro di studio per le Chastity Bell.
Ed è un album affascinante. Sotto ogni punto di vista.
Una sorta di vademecum per chi volesse assaporare la magia delle sonorità indie degli anni 90, al di là dei revival vuoti e semplicistici.
Già dall'incipit "Different Now" senti riverberi di Pavement, Wipers (originari di Portland, Oregon, dove si trovava lo studio di registrazione di questa session), Nirvana, Sonic Youth, e ne cito così pochi per via dello spazio, non per mancanza (loro) di ispirazione.
E sì, le cadenze un pò slacker e un pò shoegaze del combo ora in pianta stabile a Washington mi piacciono tantissimo.
Ci sono 10 canzoni più 3 bonus tracks in questo "I Used To Spend My Time Alone" ed ognuna raccoglie una piccola storia, a volte bella a volte no, che ti rapisce l'anima.
Di mattina come a notte fonda.
Perchè quella voce lì, con quelle chitarrine lì possono sembrare immobili, ma trapanano il cuore come nessun'altro nell'afa di Giugno quasi estate.
L'applauso globale va a "5AM", l'episodio che chiude formalmente la tracklist e che molla un paio di schiaffi energici a difese abbassate, un mix perfetto e commovente tra i primi Cure e le malie chitarristiche dell'indimenticabile Greg Sage.
Approvato!

Davide Monteverdi