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domenica 15 settembre 2024

Black Snake Moan: "Lost In Time" (Area Pirata, 2024).

Sono giorni che ascolto solo "Lost In Time", il terzo album di Black Snake Moan, al secolo Marco Contestabile, essenzialmente bassista ma in realtà polistrumentista, cantante, compositore e anima dell'intera raccolta di canzoni qua contenute. Un esempio superlativo questo "Lost In Time" - nomen omen- di come sia ancora possibile in Italia creare dei piccoli capolavori di musica sognante. Fieri di essere ai margini, fieri di essere alternativi, e soprattutto capaci di solleticare e sconvolgere la parte in ombra del cuore di noi ascoltatori piuttosto scafati della vita. Perdersi nel tempo e nello spazio è il sogno millenario dei viaggiatori, stanchi di un mondo sfocato che fatica a consolidare le proprie potenzialità esoteriche ed empatiche. Marco lo sa e traduce il bisogno di fuga e conseguente spleen in nove, splendide composizioni. Tanto semplici quanto stratificate, tanto scheletriche quanto desiderose di ampi spazi di manovra emotiva. Non ci sono solo le magniloquenze cristallizzate dei deserti, rievocati nei suoni e nei fraseggi vocali che le compongono ma anche lievi momenti di intimità giostrati nella quiete apparente, quando sedie a dondolo cigolanti scandiscono i silenzi, come nei migliori western d'annata. Quelle, per capirci, in bella mostra sulle verande di case sbiadite, a volte immerse in tramonti infiniti, o albe sature di speranza. Black Snake Moan crea così le sue magie nel tentativo di tradurre se stesso al mondo che lo circonda, alla ricerca di un approccio con chiunque parli la sua stessa lingua al di là delle note sghembe, e a modo loro rassicuranti, come una vecchia nonna. Insomma ci culla, ci vizia di bellezza, al netto di noie e dejà vu, sulla rotta intimista e rurale di Mark Lanegan, talvolta Screaming Trees, Black Angels e Wovenhand. "Lost In Time" è musica liturgica, rituale, che cresce traccia dopo traccia, tra echi psichedelici ricamati dall'Hammond che sembra suonato dallo spirito di Ray Manzarek, pregiati episodi (swamp) folk, e reminescenze chiaroscurali in odore di post punk. Semplicemente chiudi gli occhi e ti accorgi di volare via, svegliandoti in un altrove che non è poi tanto male. "Lost In Time", alla fine dei mille ascolti, si conferma come l'album evocativo, marziano a suo modo, e soprattutto molto poco italiano. che ci meritiamo in un giorno di fine estate. E per questo suo parlare un esperanto interiore, comune a tanti se non a tutti là fuori, meriterebbe di essere suonato ben al di là dei confini nazionali. Che dire poi di "Sunrise", una delle sue massime vette, velata di foschia? Il featuring di Roberto Dell'Era (Afterhourhs, The Winstons) è il tratto sapiente e senza tempo che chiude il cerchio alla perfezione. 

Consigliato!

ASCOLTA: Dirty Ground, Come On Down,  Put Your Flowers.




Black Snake Moan

Area Pirata Bandcamp



Davide Monteverdi

giovedì 20 gennaio 2022

Colleen Green: "Cool" (Hardly Art, Cd 2021).

"Cool" è probabilmente l'album che ho più ascoltato "on repeat" nel 2021. O almeno, quello a cui sono ritornato più spesso nel girovagare tra le innumerevoli uscite senza peso durante i mesi nefasti, e di sicuro si piazzerebbe ai primi posti della mia Top Ten annuale se mai fossi interessato a compilarne una di questi tempi. Questo per dire che al di là delle note stampa e dei lanci "promozionali" - meritevoli, certo, ma passibili di ovvia faziosità - un disco vince per la sua capacità di colpirti dentro mentre sei fuori fuoco. Nel mio caso specifico è stato un mix di fattori a investirmi in pieno e a farmi innamorare praticamente all'istante: le melodie cristalline sparse ovunque, le sonorità che strizzano l'occhio al miglior Indie Rock degli anni '90, le movenze sinuose delle dieci canzoni (l'artista stessa ammette che "dieci è il numero perfetto" in una recente intervista su Rolling Stone) che costituiscono l'ossatura di "Cool", con quell'alternanza (proficua) tra riflessione e urgenza che ha il ritmo della vita. Un lavoro che scorre fluido, brillante, arioso ascolto dopo ascolto insomma proprio "giusto" da qualsiasi punto di vista lo si voglia prendere e sezionare. Frutto dei sei anni che la musicista di Lowell si è presa per evolvere come essere umano e artista dopo la pubblicazione di "I Want To Grow Up" nel 2015, il terzo album (sempre marchiato Hardly Art) che ha sancito il suo maggior successo commerciale nonchè l'inizio del percorso interiore che l'ha traghettata a quel "qui e ora" che "Cool" tratteggia un minuto dopo l'altro. In mezzo c'è stato qualche singolo, l'attività live poi sospesa causa Pandemia, le session in studio di registrazione con Gordon Raphael e Aqua, e in ultimo il ritorno a casa in Massachusetts l'autunno scorso - dopo un decennio vissuto a Los Angeles, città che non ha mai amato fino in fondo - con un normalissimo lavoro part time al seguito. Ecco "Cool" è la sintesi perfetta di questa progressione nel suo intricato divenire, qua narrata con piglio ironico e "maturo" da una Colleen Green in evidente stato di grazia. Tutta magia che ti si appiccica addosso, proprio come "Natural Chorus" che è una sorta di pigiamino ritmico e felpato che incrocia motorik e sussulti chitarristici. Consigliato!

Ascolta: "Posi Vibes", "You Don't Exist", "How Much Should You Love A Husband?", "Pressure To Cum".





Davide Monteverdi.

lunedì 8 febbraio 2021

Kiwi Jr.: "Cooler Returns" (Sub Pop, Cd 2021).


Ho già detto che la Sub Pop non sbaglia un colpo da tempo immemore?
E con l'acquisizione nel proprio roster dei Kiwi Jr. la label di Seattle conferma la linea virtuosa del suo scouting, sempre più indirizzato a percorrere coordinate musicali ad ampio spettro.
Con "Cooler Returns" - secondo album ma a tutti gli effetti vero e proprio esordio "da grandi" - il quartetto canadese sbanca a ogni livello, mettendo a fuoco il paradigma espressivo già utilizzato nel precedente "Football Money": liriche grottesche dai sottintesi ironici e ficcanti, atmosfere disimpegnate e festaiole, jangle chitarroso a suggellare canzoncine dal respiro "pop". Il tutto sublimato dall'attitudine di chi sul palco - a breve, si spera, torneranno i concerti - spruzzerà sangue e sudore pur di far innamorare perdutamente il pubblico, abbeverandosi con avidità alla fonte del miglior college rock di sempre.
I Kiwi Jr. se la giocano (quasi) alla pari con i Rolling Blackouts Coastal Fever, seppur meno lineari a livello compositivo, ma l'immaginario è proprio quello lì. Sempre alla ricerca sfrenata della melodia perfetta, del ritornello che ti fa piangere dall'emozione e, soprattutto, della credibilità che li consacri eredi naturali della tradizione "indipendente" americana.
Freschezza e coolness non difettano di certo al quartetto dell'Ontario.
Le tredici canzoni di "Cooler Returns" incorniciano alla perfezione le tappe di un percorso costellato di meraviglia e dejà vu, dove i conflitti sono stemperati a colpi di birre e risate e le svisate malinconiche vengono richiamate all'ordine prima di far danni, ribadendo ancora una volta - ma è necessario? - quanto possa essere totalizzante (e soddisfacente) la dedizione nei confronti di talune sonorità.
In poco più di 36 minuti la band di Toronto, guidata dalla voce di Jeremy Gaudet, dà fondo a tutta la creatività disponibile. Mixando elettrico e acustico, power pop e sensibilità, iniettando qua e là parti di armonica e piano, percussioni e organo, con Pavement e Modern Lovers infilzati nel cuore. 
Un cuore grande e generoso, con spazio a sufficienza per accogliere anche altri invitati al party, ingresso libero consumazione obbligatoria: Kinks, Monochrome Set, Barracudas, Wipers, R.E.M, Strokes, Feelies, Replacements, Weezer, Parquet Courts, Replacements i primi che rispondono all'appello.
"Cooler Returns" è il compendio ideale per tuffarsi a piedi pari nella marea sonica che monta, meglio se in una torrida giornata estiva, mollando infradito e passato prossimo sulla battigia con un ghigno beffardo.
Jeremy, Brohan, Mike e Brian (già negli Alvvays) hanno scritto uno degli album più empatici, coinvolgenti e solari di questo inizio 2021 - merito della sinergia cesellata in studio con Graham Walsh (Metz, Bully) - consegnando di fatto la pandemia all'oblio che merita.

ASCOLTA: "Undecided Voters", "Highlights Of 100", "Cooler Returns", "Omaha", "Waiting In Line".





(Foto: Warren Calbeck)


Davide Monteverdi.

giovedì 26 settembre 2019

Maurizio Curadi: "Phonorama" (Area Pirata, 2019)


Al di là delle definizioni, dei limiti estetici, con cui si cerca sempre di circoscrivere un lavoro discografico "strano", "Phonorama" di Maurizio Curadi (Steeplejack) si impone all'ascolto come un "oggetto non identificato" di estremo fascino mesmerico.
Che naviga in acque più pacate che burrascose, cui il termine "sperimentale" sta strettissimo e fuori fuoco rispetto alle 6 plastiche composizioni che ne strutturano la tracklist (in realtà 9 con le bonus track, per una lunghezza che sfonda in totale l'ora di performance).
Maurizio, qui, non fa altro che accomodarsi sullo sgabello e trasformare le sue chitarre nelle protagoniste assolute di un viaggio onirico, dove psichedelia, musica progressiva, elaborazione dei suoni e assetti circolari figli bastardi del kraut teutonico, si fondono in un soffio caldo e mellifluo che accarezza e affranca da ogni inibizione.
Potremmo banalmente infilare "Phonorama" nella casella "chillout" o "ambient, se non fosse per quella attitudine dell'artista a scansare ogni responsabilità contestuale, esplorando territori musicali - seppur non innovativi - al netto di noia e ridondanze.
Tutto sommato "Phonorama" mi è piaciuto parecchio: parliamo di un album che non vorrebbe essere per tutti, ma paradossalmente lo diventa, stemperando il vocabolario concettuale con grande qualità interpretativa.


Ascolta: "Cicadas", "Hidalgo".





Davide Monteverdi


martedì 24 settembre 2019

Chastity Belt: "Chastity Belt" (Hardly Art, 2019)


Questo è il giorno ideale, almeno dalla mia finestra, per ascoltare il nuovo album delle Chastity Belt: cielo plumbeo, pioggia fine e incessante, temperatura in calo drastico, e quell'aria indecisa che ogni lunedì assume quando l'estate scivola nell'autunno senza un minimo preavviso.
Eppure in questo omonimo, quarto, album c'è una scintilla a bilanciare le composizioni intimiste e venate di nostalgia postadolescenziale. Una sorta di bagliore al neon che allo stesso tempo ipnotizza e illumina fiocamente una strada priva di pericoli alla vista, rassicurante e stimolante nella sua progressione, proprio come le 10 tracce composte, suonate, e cantate dal quartetto (adottivo) di Seattle. 
Julia Shapiro è bravissima a ricreare l'empatia da ostello con le altre componenti della band, a delineare uno spazio aperto e libero dove le confidenze anche scomode scaturiscono senza forzature, dove le voci incrociano gli strumenti senza mai una sbavatura.
"Chastity Belt" è infatti costellato di ormoni e sentimenti, consapevolezza e buoni auspici, s'intuisce perfettamente come il passato sia un necessario bagaglio esperienziale che non tornerà più, nel bene e nel male.
E a testimonianza di questa (sofferta ma imprescindibile) evoluzione esistenziale, anche la forma canzone si spiega con raffinatezza e maturità inaspettate: ecco allora i violini comparire per la prima volta facendo il paio con i synth, poi una maggiore fluidità tra liriche e musiche, e infine la sinergia matematica tra le ragazze quando si smazzano le diverse parti vocali. A dimostrazione di un feeling ritrovato al volo dopo un breve stand by, e conseguenti progetti individuali, nel recente passato.
Due anni di attesa dal precedente "I Used To Spend So Much Time Alone", evidentemente spesi molto bene, ed eccoci qua con una nuova raccolta di canzoni struggenti eppure a loro modo sbarazzine.
Con le chitarre di Julia Shapiro e Lydia Lund a sprizzare quintali di melodie irresistibili e flasback continui e indecisi tra neopsichedelia, new wave, e shoegaze. Con il basso imperioso di Annie Truscott e la batteria metronomica di Gretchen Grimm a puntellare l'intera tracklist, secondo dopo secondo.
"Chastity Belt" è stata davvero una sorpresa inaspettata e gentile: generosa nel dispensare momenti chiaroscurali quanto nel lenire il fallout di certi giorni bigi, dominati dai massimi sistemi e dalle loro conseguenze.
On repeat, dolcezza, on repeat!



Ascolta: "Effort", "Apart", "Split"


Hardly Art


Davide Monteverdi




martedì 9 luglio 2019

VERSING: "10000" (Hardly Art, 2019)


"10000" è il nuovo, secondo, lavoro di studio per il quartetto di Seattle guidato dal carismatico cantante e chitarrista Daniel Salas, che con le sue 13 tracce ci conduce per mano in un passato recente e glorioso. Quegli anni 90 che hanno marchiato a fuoco almeno un paio di generazioni turbolente di teenagers, in un saliscendi schizofrenico tra melodie e rumore, ordine e caos, autodistruzione e catarsi.
Tutti i riferimenti sonori di questo album prendono ossigeno, di fatto, dall'epopea alternative rock di quel decennio, rimodulati però secondo un linguaggio corrente (seppur rispettoso delle tradizioni) declinabile con la sensibilità delle nuove generazioni di ascoltatori.
Le tracce di "10000" scorrono bene dall'inizio alla fine, abbandonando nelle sinapsi schegge elettriche di Pavement, Dinosaur Jr, Sonic Youth e tutta quella roba lì college rock a stelle e strisce, con in più una strizzatina d'occhio alla coeva scena shoegaze psichedelica inglese.
Insomma nulla di nuovo sotto il sole dell'indie sound (tantomeno dalla rigogliosa Seattle), ma "10000" è un album che si fa ascoltare con rinnovata curiosità: di sicuro non impatterà sul corso della storia, ma può ambire a guadagnarsi lo status di gioiellino incompreso all'interno della scena.


Ascolta: "Entryism", "Tethered", "By Design", "In Mind", "Sated".



Davide Monteverdi.


lunedì 3 giugno 2019

Tony Borlotti E I Suoi Flauers: "Belinda Contro I Mangiadischi".


Quando sta per scoppiare l'estate italiana bisogna farsi trovare pronti.
Un buon taglio di capelli ad esempio, un abito ben stirato e profumato, Vespa o Lambretta di ordinanza tra le cosce e via per il mondo luccicante, appetitoso, e pronto a ricevere tutto l'Amore di cui siamo capaci.
Aggiungete pure ampie libagioni, tramonti in formato cartolina, qualche vaga reminescenza di un'epoca meravigliosa, e (probabilmente) irripetibile, e otterrete la sintesi perfetta delle 12 canzoni che compongono "Belinda Contro I Mangiadischi".
L'ultima fatica discografica di Tony Borlotti E I Suoi Flauers che non si smentiscono mai, sprizzando gioia, stile, divertimento e ironia in un momento storico dove il "sole" stenta a splendere e i Sixties paiono lontani una galassia intera.
E quando il grigio imperversa cosa ci può davvero salvare se non una robusta intramuscolare di Musica Beat per "giovani scapestrati"?
Il combo di Salerno svolge questa missione in maniera eccelsa, riuscendo nell'impresa di trasportare l'irruenza sbarazzina dei suoi live nell'algido supporto fisico, smazzato as usual da quei tipacci di Area Pirata.
"Belinda Contro I Mangiadischi" fa volare tutto ed è il miglior modo di festeggiare i (quasi) 25 anni di attività per Tony Borlotti E I Suoi Flauers: gentiluomini dall'attitudine deliziosa e di ineccepibile perizia musicale.
Chiamatela come vi pare (per cortesia no vintage e no retrò), ma per me è solo musica squisita sotto il cielo blu.



Ascolta: Un Tempo Per Noi, Sono Nei Guai, Belinda Contro I Mangiadischi, La Giostra, Programma Beat.




Davide Monteverdi


sabato 27 aprile 2019

The Rock 'N' Roll Kamikazes: "Campari & Toothpaste" (Area Pirata, 2019).


Non c'è verso di star fermi o di occuparsi delle cose di casa con i Rock 'N' Roll Kamikazes.
Metti il cd nel lettore, alzi il volume del mixer e dalle casse esplode la quintessenza dell'euforia, del think positive, del cazzeggio, mentre l'ambiente circostante si trasforma, nell'immediato, in un episodio di Happy Days in anfetamina, con le suole che scottano e il sudore che scivola malizioso lungo la spina dorsale.
Le 13 tracce di questo "Campari & Toothpaste" rappresentano l'ennesimo mattone che Andy McFarlane (Hormonauts) e soci piazzano nel muro del Rock And Roll più carnale e viscerale: virano le tradizioni 50's e Rockabilly in sonorità magmatiche che profumano di swamp blues e psychobilly, viziati però da attimi di lucida follia, balli sguaiati e, probabilmente, consumi eccessivi del suddetto Campari.
Che dire, bravo il quartetto romagnolo anche a consegnarci questo 4° album curato in ogni minimo particolare, artwork compreso. E, a proposito, tanti auguri a voi per il decennale di carriera alle porte.
Menzione speciale per la geniale cover "No No No (You Don't Love Me) strappata all'originale di Dawn Penn.



Ascolta: Your Monkey, You Might Not Known Me, Lordy Lord (My Ass), Smack.





Davide Monteverdi


giovedì 14 marzo 2019

Roberto Tax Farano & Paolo Spaccamonti: "Young Till I Die" (Escape From Today/Dunque, 2019).


Il 6 marzo 2019 è uscito "Young Till I Die" pregevole 10" in vinile blu, limitato a 500 copie, e firmato a quattro mani dal leggendario Roberto Tax Farano e Paolo Spaccamonti.
Il 6 Marzo 2019 il leggendario Marco Mathieu, non solo apprezzato musicista ma anche giornalista e scrittore dotato e curioso, ha compiuto 55 anni e dal luglio 2017 è immobile a letto in coma vegetativo dopo un incidente stradale.
"Young Till I Die" è in tutto e per tutto dedicato a lui e alla famiglia, oltre ad essere un lodevole tentativo di finanziare parte delle ingenti spese mediche per il suo mantenimento.
Roberto e Marco (per chi non lo sapesse...ma chi appunto???!!) erano rispettivamente chitarra e basso dei Negazione di Torino, band pilastro del cosiddetto Italian Hardcore nel mondo; il resto è mitologia scritta, tramandata e riletta centinaia di volte.
L' Ep si snoda in 2 sontuose suite strumentali dal sapore immaginifico, cinematico e ambientale (in verità più nei territori di confine abituali per la chitarra obliqua di Spaccamonti) coprendo una durata totale di 12 minuti e qualcosa: "Lo Spirito Continua" è una rilettura "esoterica" e malinconica del celeberrimo brano (composto proprio da Tax e Mathieu) che chiude l'album d'esordio dei Negazione, anno di grazia 1986, a cui dà il titolo. "Young Till I Die" è, invece, un inno alla magnificenza della vita (citazione voluta dell'omonima canzone manifesto dei 7 Seconds?) tra drones e crescendo chitarristici, che ci chiama alla ribellione contro il fato avverso, così come alla celebrazione di ogni soffio esistenziale, dono imprescindibile da godere fino all'ultimo.
La bellissima cover serigrafata è stata disegnata da DeeMo aka Dumbo, la produzione delle tracce è stata curata da Ezra al Nomad Studio di Torino.
Che dire infine?
Grazie di tutto Marco questo è davvero per te.
Ti pensiamo dal più profondo del cuore, anche se avremmo preferito un altro esito per questa Musica meravigliosa.



"Questo disco è per Marco, queste note una carezza, questo feedback un abbraccio.
Queste chitarre suonano per lui, unite dall'amicizia istintiva e vera, che sembra di sentire sullo sfondo la sua risata, indelebile dentro di noi, come le sue parole dentro i testi dei Negazione, tatuate nel cuore e nell'anima, per sempre."


""Young till I die" lo incidevamo sulle medagliette stile Vietnam che condividevamo con i ragazzi del mucchio, 30 anni fa.
Oggi è il nome di un disco dedicato a Marco in cui suoniamo perchè… lo spirito continua…
Il disco esce il 6 Marzo, giorno del compleanno di Marco: è il nostro regalo,
Oggi come allora, "Young till I die" è un inno alla vita, per affrontare la gioia e il dolore…con la stessa attitudine.

il nostro abbraccio, con il linguaggio che conosciamo: la musica."


Lo spirito continua.... 

...continua...lo spirito... 
dietro lamenti melodiosi 
risuona la voce di un vecchio 
a raccontare il senso di una vita 
collezione di attimi 
per le sensazioni piu` belle 
ma lo spirito continua! 
Leggo di me negli occhi di gente sconosciuta 
leggo di me in loro

Ma il ricordo puo` uccidere il bisogno... 

...non ho paura di quel rumore 
c'e` un lampo nei tuoi occhi 
che non potro` mai spiegarti 
mentre ti alzi e te ne vai 
guardo verso una parola lontana... 
...Il gioco di immagini e` riuscito 
esplode una risata sensuale... 
Io sorrido sopra il mio odio 
scoprendomi dentro un amore spesso negato 
scopro te nel mio corpo 
non voglio ucciderti 
Devi solo imparare a conoscermi 
io faro` lo stesso 
e forse allora anche la ferita 
fara` meno male 
lo spirito continua 
potremo davvero essere vecchi e forti.





Il vinile lo trovate qua: Negazione Bandcamp




Davide Monteverdi.