O è solo un altro bieco sistema per fare cassetto negli anni
della crisi?
Non potevano lasciarci sognare idoli intonsi, seppur
all’imbrunire, con le loro pieghe sanguigne di esseri speciali?
Dopo l’uscita nei negozi dell’ennesima ristampona globale, e
va da sé buona per completist pipparoli, a nome “Boombox” eccoci arrivati ad un
nuovo episodio della saga Strummer/Jones.
Proprio come in Beautiful dopo il The End iniziano sequel,
prequel, director’s cut, comunicati stampa dell’amante del regista e vaibbello.
Non che il documentario firmato da Danny Garcia non sia
bello ed esaustivo, con stralci inediti e prospettive laterali, solo che la
faccenda magari era meglio liquidarla con quel “Il Futuro Non E’ Scritto” del
2008.
Un quadretto amabile, una testimonianza densa e agrodolce
sull’epopea di un rocker e la sua band, in predicato di diventare pura
leggenda, disintegratisi per futili motivi cui nemmeno noi, umile gentaccia
senza il Magic Touch, siamo immuni nel quotidiano: denaro, ego, divergenze
artistiche e scazzo supremo a coprire tutto come una tenda nera.
Dunque “The Rise And Fall Of The Clash” riparte da lì.
Dalla spietata cronaca di questa dissoluzione che, nel bene
o nel male, ha travolto una generazione che al famigerato “Cambiamento” credeva
davvero.
Nonostante il contratto con la Cbs, nonostante i proclami
Marxisti spesso fraintesi o fuori tempo massimo, nonostante i dischi di merda
che pure ci sono.
Novanta minuti circa, per il sottoscritto non proprio
scorrevolissimi, che fanno riflettere sulla crudeltà dello showbiz, sui
meccanismi che lo governano, e sull’universo delle amicizie ad orologeria. Con
un che di sadico voyeurismo che tumula, forse in via definitiva, ogni ordine di
questioni lasciate in sospeso.
Impietosamente.
Dopo i titoli di coda resta così il retrogusto disarmante
dell’ordinaria follia, la palpabile consapevolezza dell’impossibilità di un
rewind spazio temporale nei territori dell’età dell’oro.
Banditi per sempre gli sguardi limpidi e i sorrisi incerti,
altre piccole crepe si aprono nel mito che i Clash hanno saputo indossare con
scaltra scioltezza per oltre trent’anni.
E il succo sta tutto qui.
“The Rise And Fall Of The Clash” brilla senza alcun dubbio,
ma di una bellezza cinica e assassina.
Davide Monteverdi aka Deejay Dave.
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