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mercoledì 20 dicembre 2017

Emmanuelle Sigal: Table Rase (Brutture Moderne, Cd 2017)



Il nuovo album di Emmanuelle Sigal "Table Rase" è, sintetizzando al massimo, bellissimo!
Senza se e senza ma.
E' proprio un'endovena di sottile goduria che ti invade quando lanci per aria aria le 9 tracce prodotte dalle mani esperte e delicate di Francesco Giampaoli.
Un lavoro davvero completo, dinamico, pieno di belle vibrazioni, suonato ottimamente (e come poteva essere diversamente) da gente del giro Sacri Cuori, modellato con tatto grazie al sagace uso delle tecniche di studio e a corollario di tutto, e di un ascolto piacevole e ripetuto in automatico, c'è pure Tom Waits, coverizzato in "Telephone Call From Istanbul".
L'artista franco israeliana, ora bolognese d'adozione, riesce nella non facile missione di creare un percorso ben equilibrato nella mezz'ora abbondante della sua durata, raccontando leggiadri quadretti esistenziali distillati tra cocktail pop e arpeggi da crooner, battute in levare schizzate di ritmi country folk, ed episodi di jazz swingato declinati in italiano, francese e inglese con una padronanza che spaventa (positivamente) per maturità.
Certo non stonerebbe veder esibire Emmanuelle in qualche club buio e fumoso degli anni 50/60, con piume di struzzo e una corona di zirconi a disegnare la fluente chioma corvina.
Ce la meriteremmo di sicuro, tra ovazioni e richieste di bis, mentre qualche entusiasta accenna passi di danza a due.
A timbrare la caratura immaginifica, e mai conformista, di "Table Rase" un mostro sacro della Dissonanza come Marc Ribot, ospite con la sua chitarra in ben 6 pezzi.
Allora, in casi come questo, è quasi meglio vivere la musica piuttosto che discettarne, perchè si corre il rischio di non centrarne l'essenza con contorni precisi: la percezione istantanea infatti è tutto davanti ad un bagaglio emozionale del genere.
Non sceglierò neppure la classica manciata di canzoni preferite, come ortodossia consiglierebbe, proprio per questo motivo: "Table Rase" è bello per l'impatto globale ed organico come gli episodi della vita che ci attendono.





Davide Monteverdi


mercoledì 5 luglio 2017

Bad Bad Not Good live @ Magnolia x RollingStone.it




Nonostante le previsioni metereologiche avverse per assistere a un concerto all’aperto con il godimento necessario, mi faccio guidare dall’entusiasmo per i BadBadNotGood e mi dirigo a Milano tra lampi e nuvole nere e basse. Il meteo per fortuna non c’azzecca a ‘sto giro e mi presento sottopalco al Magnolia che sta spiovendo e il pit incomincia a rinfoltire le fila di chi, come me, è più uno spettatore curioso di questo esperimento sonoro che fan accalorato. Alle 22.30 in punto (quasi) i BadBadNotGood si presentano sul palco e partono a razzo improvvisando il tema musicale di James Bond, nel generale tifo da stadio mixato ad un certo stupore in merito all’età media del power trio di Toronto. Sembrano giovanissimi (si narra che siano del 1996), rilassatissimi ed incredibilmente competenti nel masticare 60 anni di storia e vibrazioni sottocutanee, risputando sulla folla una miscela di modern jazz, future beats, jazz rock e prog da far venire la pelle d’oca a un sordo. Certo, c’è Coltrane che sottende a quasi tutti i 75 minuti di live, ma il profumo è quello delle radio pirata inglesi, di certe trasmissioni su Jazz Fm pilotate da Eddie Piller, grazie soprattutto al toasting di Alexander Sowinski, batterista delle meraviglie oltrechè divertito e divertente Mc della serata.Insomma tutto gira benissimo e la band si concede intermezzi come Tequila dei Champs o lunghi intro psichedelici mentre snocciola quasi tutto IV, l’ultimo album licenziato nel 2016. Applausi più che meritati anche a Matthew Tavares (tastiere), Chester Hansen (basso, effetti) e a Leland Whitty (sassofoni, flauto), altro mattatore della serata con i suoi assoli ficcanti come rasoi e l’attitude di chi la sa lunga sulla vita di palco, nonostante le scarse primavere sulle spalle. Davvero una sorpresa al di là di ogni più rosea aspettativa questo gig, soprattutto la resa dal vivo dei BadBadNotGood risulta esponenzialmente superiore a tutti i loro album appiccicati insieme: molto più ironici, immediati, leggeri, istrionici e d’impatto grazie ell’empatia contagiosa che i kids canadesi riescono a sprigionare nell’aria. 

Welcome in this beautiful Thursday night”.


Davide Monteverdi